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La quercia di Mamre dove Abramo avrebbe dovuto sacrificare il figlio Isacco

L'albero e la tenda

Il Signore appare ad Abramo «alle Querce di Mamre» (v. 1). La quercia, nella Bibbia, è uno degli alberi che indica la sacralità del luogo e rimanda ad eventi particolarmente significativi per il popolo d’Israele. Basti pensare a Giacobbe che proprio sotto una quercia presso Sichem sotterrò tutti gli dèi stranieri, che possedeva la sua famiglia e quanti erano con lui: un gesto rituale di purificazione e di deciso rifiuto dell’idolatria (Gn 35,2-4). Ancora: Dèbora, la nutrice di Rebecca, viene sepolta ai piedi di una quercia, che «perciò si chiamò Quercia del Pianto» (Gn 35,8).

Nelle immediate vicinanze di quest’albero dalla chioma folta e rigogliosa spesso venivano piantate le tende per ripararsi dalla calura. Sembra che il vissuto più intimo dell’uomo debba essere custodito all’ombra di una quercia: l’intrecciarsi degli affetti, tra fatiche e gioie, il desiderio di Dio, l’ansia d’essere fedele alla sua legge. Non stupisce dunque che Dio appaia ad Abramo presso le querce di Mamre.

Egli – annota l’autore sacro - «sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno». Un’informazione scarna, senza fronzoli, che tuttavia lascia intuire lo stato d’animo e la condizione fisica dei due anziani sposi: la calura di mezzogiorno rende fiacchi, l’età è un aggravio alla fatica. Abramo siede sulla soglia della tenda per riposare. Dal giorno in cui aveva lasciato la comunità sedentaria di Ur in Caldea egli era divenuto un «abitatore della tenda», credendo per fede che Dio gli avrebbe concesso una terra ed una discendenza in attesa della «città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso» (Eb 11,10). La mobilità precaria della tenda, che fa di Abramo uno straniero e pellegrino sulla terra sempre in partenza verso l’ignoto, è dunque il segno visibile della sua totale consegna, in fiducia, all’inedito di Dio, ma anche il segno della temporaneità della vita stessa, che per noi si dispiega ogni giorno tra il già e il non ancora, visitati e confermati da Colui che «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). Tradotto meglio, ad attendarsi, ad accamparsi tra noi.

Vicino ad Abramo, nella tenda, Sara, segnata dal tempo e dalla tristezza: «era infatti cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne» (18,11). Una speranza delusa? Un’attesa infranta? Per la donna forse, ma non per il «vecchio» credente. All’ombra delle Querce, pur avvizzito nel corpo, Abramo mantiene giovane il cuore. E quando il cuore è caldo, gli occhi non cedono al sonno. Una speranza sostiene la veglia: è la promessa di Dio, che muta

l’attesa in vigilanza e la vigilanza in preghiera.

 

Dal libro della Gènesi In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

 

 

Dal libro della Gènesi

In quei giorni, Dio mise alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unigenito che ami, Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò».
Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l’altare, collocò la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unigenito».
Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.
L’angelo del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso, oracolo del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, il tuo unigenito, io ti colmerò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza, come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce».