IMPERATORI ROMANI : D'ORIEMTE e D'OCCIDENTE.
Grandezza militare e debolezze umane, valore strategico e spregiudicatezza politica, “vizi privati e pubbliche virtù” degli uomini che ressero le sorti della Roma imperiale.
Una breve essenziale narrazione dell’ambiente e della vita degli imperatori romani fino al 565 d.C..L’elenco comprende nomi d’imperatori in ordine cronologico, quelli non citati sono troppo inconsistenti per un’apposita trattazione.
Césare, Gaio Giulio (lat. C. Iulius Caesar). - Generale romano, triunviro, dittatore (Roma 100/102 - ivi 44 a. C.). Nato da nobile famiglia romana, fu bandito da Silla; prestò servizio nelle province dell'Asia Minore tra l'81 e il 78, fu questore nel 70, edile nel 65, pontefice massimo nel 63, pretore in Spagna nel 62. A Roma nel 60 a. C. costituì il primo triumvirato con Pompeo e Crasso. Console nel 59, conquistò la Gallia. Invitato dal Senato a deporre l'imperium, marciò contro Pompeo nel 49. Sconfitti gli avversari in Spagna, vinse anche la battaglia di Farsalo, in Tessaglia (48). Passato in Egitto, debellò i pompeiani in Africa a Tapso (46) e a Munda (45). Tornato a Roma, nominato dittatore, fu ucciso in una congiura il 15 marzo del 44 a. C. mentre si accingeva ad una spedizione militare in Oriente.
I suoi nobili natali sono derivati dall'appartenenza alla gente Giulia, mentre della sua data di nascita non vi è certezza. Nipote di Mario e genero di Cinna, di cui aveva sposato la figlia Cornelia, fu messo al bando da Silla. Si segnalò nell'assedio di Mitilene e partecipò con Servilio alla campagna contro i pirati nel 78. Morto Silla, si mise in vista con processi clamorosi contro note personalità, poi si recò a Rodi a studiare retorica. Cadde prigioniero dei pirati, fu liberato, e dopo averli puniti con un'audace spedizione, partecipò alla terza guerra mitridatica. Appoggiò Pompeo (del quale divenne poi cognato, nel 67, sposando Pompea) e Crasso nella loro opera di demolizione della costituzione sillana. Fu questore in Spagna nel 70, edile nel 65, pontefice massimo nel 63. Nel 62 fu pretore e nel 61 propretore in Spagna dove si arricchì a spese dei sudditi non meno di altri governatori di quel tempo e fu così in grado di pagare i debiti di cui anch'egli era oberato. Sulla via ormai di divenire uno tra i più potenti uomini politici di Roma, si accordò nel 60 (cosiddetto primo triunvirato) con due maggiorenti i quali per le loro ricchezze e per il credito acquistato con le loro vittorie aspiravano a una superiorità che da altri più ligi alle tradizioni repubblicane era contrastata, Pompeo (il quale sposò la figlia di C., Giulia) e Crasso. I tre dominarono effettivamente, sebbene illegalmente, la repubblica. C. fu eletto console per il 59. Fece approvare una legge agraria che ordinava la distribuzione delle terre ancora disponibili. Mediante un plebiscito ebbe il comando militare della Gallia Cisalpina e dell'Illirico, cui il Senato aggiunse la Gallia Narbonense. In Gallia intervenne subito contro gli Elvezi che minacciavano la provincia romana, vincendoli a Bibratte (58), e contro il principe germanico Ariovisto, che si era stabilito nella Gallia, costringendolo a ripassare il Reno. Nel 57 vinse i Nervi e sottomise il paese dei Belgi. Nel 56 sottomise i Veneti dell'Aremorica e mentre il suo luogotenente Publio Crasso, figlio del triunviro, occupava l'Aquitania, sconfisse i Morini e i Menapi, portando a termine l'occupazione del Belgio. Nel 55 disperse i Tenteri e gli Usipeti, e per compiere un'azione dimostrativa contro i loro alleati fece costruire un ponte sul Reno, attraversò il fiume, devastò il paese dei Sigambri e quello degli Ubi. Si volse quindi alla Britannia organizzando due spedizioni nel 55 e nel 54 ma trovò fiera resistenza. Tornato in Gallia, dovette fronteggiare le agitazioni organizzate specialmente da Ambiorige, capo degli Eburoni, e contro di lui dovette condurre una guerriglia sfibrante e sterile. La ribellione raggiunse il suo culmine nel 52, sotto la guida di Vercingetorige. C. prese Avarico, fallì davanti a Gergovia, ma dopo aver costretto Vercingetorige a rifugiarsi ad Alesia, ve lo assediò e mediante un'azione militare genialissima lo vinse e lo mandò prigioniero a Roma. Quindi, con azioni risolutive contro i popoli non ancora soggiogati, compì l'opera di conquista della Gallia. Il triunvirato con Pompeo e Crasso, rinnovato nell'accordo di Lucca (56), si era sciolto con la morte di Crasso (53), e Pompeo, approfittando dell'assenza di C., era di fatto padrone di Roma. Quando C., alla fine della guerra gallica, pose la candidatura al consolato, Pompeo pretese che C. fosse presente a Roma dopo aver deposto l'imperium. C., che non voleva mettersi in tal modo alla mercé di Pompeo, si preparò al conflitto armato. Dichiarato nemico pubblico, varcò al Rubicone il confine dell'Italia (genn. 49), violando la legge che vietava la presenza in Italia di magistrati investiti di imperium provinciale. In sostanza, C. voleva avere sotto mano le sue fedeli legioni nell'atto di farsi deferire il consolato, mentre ciò non poteva essere consentito da Pompeo il quale, pur volendo primeggiare nello stato, teneva lontane nella Spagna le sue legioni e mirava così ad assicurarsi una specie di principato legale che molti oligarchici erano propensi ad accettare. Ma appunto per questo egli si trovò in Italia disarmato di fronte a C. Questi con una legione avanzò con tanta rapidità che Pompeo vide impossibile ogni resistenza e si ritirò in Grecia. Occupata Roma e l'Italia, C. conquistò l'alleata Marsiglia che, fedele al Senato, gli aveva rifiutato obbedienza, domò in Spagna le legioni di Pompeo comandate da Afranio e Petreio. Si volse quindi contro Pompeo che aveva organizzato in Oriente un esercito notevole, ma non agguerrito e omogeneo come quello di C.; non è quindi meraviglia se dopo alterne vicende C. riportò su Pompeo la decisiva vittoria di Farsalo (48); Pompeo fu poi assassinato in Egitto dove aveva cercato scampo. Recatosi ad Alessandria, C. pose sul trono di Egitto Cleopatra, vinse Farnace II nel giro di 5 giorni (veni vidi vici) presso Zela (47). Lasciato in Italia magister equitum Marco Antonio, sbarcò in Africa dove i Pompeiani, alleatisi a Giuba I di Numidia, si mostravano minacciosi e nonostante l'inferiorità delle forze li vinse a Tapso (46): Labieno, ex cesariano, e i figli di Pompeo fuggirono in Spagna; i maggiori esponenti della fazione e Giuba perirono, Catone si diede la morte. A Munda (45) vinse Gneo Pompeo, figlio del Grande. Padrone ormai dello stato, attese con eccezionale sagacia ed energia a riordinare la cosa pubblica e, soprattutto, a consolidare nello stesso tempo l'autorità centrale e le autonomie locali. Dopo la battaglia di Farsalo ebbe la dittatura a tempo indeterminato, il consolato per 5 anni, la potestà tribunizia a vita, per tre anni tenne la praefectura morum, dopo la vittoria di Munda ricevé dal Senato il titolo di imperator: questa somma di poteri civili e militari configurava il suo governo come una monarchia. Riordinò lo stato con una serie di leggi, completò a sua posta il Senato, dedusse colonie, distribuì terre ai suoi veterani, riformò il calendario, disegnò audaci progetti urbanistici in Roma. Desideroso di pacificare gli animi, amnistiò i nemici; adottò Ottavio, il futuro Augusto. Quali che fossero i suoi concetti definitivi intorno alle forme da dare al suo governo, certo è, e a nessuno sfuggiva, che egli intendeva conservare e trasmettere a un successore la pienezza dell'autorità che era nelle sue mani. E questo spiega il contrasto in cui si trovavano con lui tutti coloro, ed erano molti, che per motivi diversi rimanevano attaccati alla tradizione della libertà repubblicana. Formatasi una congiura di circa 60 senatori, capeggiati da Bruto e da Cassio, fu ucciso con 23 colpi di pugnale nella Curia Pompeia davanti alla statua di Pompeo alle idi di marzo del 44 a. C. Ma se molti dei disegni di C. perirono con lui, una gran parte della sua opera gli sopravvisse: anzitutto la concessione della cittadinanza ai Transpadani, per cui l'Italia nel senso politico raggiunse effettivamente il confine delle Alpi, poi la conquista della Gallia e l'avvio alla piena integrazione dei Galli nel mondo Romano (per es., esercito, vita pubblica), che fece di questo paese un centro e un baluardo della civiltà latina. Infine con la rapidità, arditezza, organicità della sua opera di legislazione e di governo, egli mostrò i vantaggi che poteva avere Roma dall'abolizione dell'oligarchia senatoria alla quale si doveva il malgoverno di cui soffrivano la città e l'Impero, e in tal modo agevolò al suo erede e successore Ottaviano la via che lo condusse al principato. Il suo ritratto ci è noto sia dalle monete, sia da alcune teste marmoree (Pisa, Camposanto, Vaticano, Berlino, Napoli, Castello di Agliè), e dalla statua loricata nel Palazzo Senatorio a Roma; tutte presentano un volto magro, ossuto, con incipiente calvizie, sbarbato. La figura di C. ha ispirato numerosi artisti e opere d'arte d'ogni tempo, specie di teatro.
OPERE.C. fu anche eccellente scrittore, libero da modelli, guidato solo dal suo genio. Si citano di C. giovane un poemetto Laudes Herculis, una tragedia Oedipus, altre poesie leggere; più tardi (46 a. C.), durante la marcia da Roma a Munda compose un poemetto d'impressioni di viaggio: Iter. Raccolse anche modi di dire arguti (Dicta o Apophthegmata). Dell'oratoria, tutta politica, di C., molto ammirata dai suoi contemporanei ed esaltata da Cicerone stesso e dopo da Quintiliano e altri, non resta niente. Si occupò anche di teorie linguistiche nel trattato De analogia, del 54, dedicato a Cicerone, in due libri; vi insegnava che base di ogni eloquenza è la scelta delle parole e che bisogna fuggire le parole insolite; principio basilare ne era la ratio, l'analogia degli Alessandrini. Importante doveva essere l'Anticato, finta orazione giudiziaria in risposta al panegirico di Cicerone per Catone morto. Delle lettere di C. abbiamo solo alcuni saggi nella collezione delle lettere ciceroniane: brevi, limpide, concise. Grave soprattutto è la perdita delle relazioni al Senato sulle operazioni in Gallia. I Commentarii de bello Gallico, composti rapidamente nell'inverno 52-51, e quelli de bello civili dovrebbero essere, come dice la parola commentari, semplice raccolta di materiale per storici e poeti futuri; ma già Cicerone giudicandoli dal punto di vista letterario, li diceva nudi, recti, venusti, aggiungendo che C. aveva tolto al futuro storico la possibilità di raccontare quei fatti meglio di lui. Il carattere evidentemente apologetico di essi rende necessarie delle riserve sulla verità del contenuto, specialmente per i Commentarii de bello civili. Il Bellum Gallicum dà in 7 libri il racconto degli anni di guerra dal 58 al 52: dalla spedizione contro gli Elvezi fino alla vittoria definitiva. Il Bellum civile in tre libri dà il racconto dei fatti dal 49 al 48: dal Rubicone ad Alessandria. Ufficiali di C. completarono l'opera: Aulo Irzio scrisse un ottavo libro del Bellum Gallicum comprendente gli avvenimenti del 51 e del 50, sforzandosi di seguire nello scrivere la maniera di C.; non lontano da lui (e secondo i più, ora, da identificarsi con lui) è l'autore del primo dei tre scritti in continuazione del Bellum civile contenenti gli eventi di guerra degli anni 47, 46, e 45: Bellum Alexandrinum, Bellum Africanum, Bellum Hispaniense (incompleto). Gli autori degli altri due, ignoti, sono molto inferiori per pregi di lingua e di stile.
Frasi Famose
Mentre osservava una statua di Alessandro Magno, Cesare disse infatti:
Non vi sembra che ci sia motivo di addolorarsi se alla mia età Alessandro regnava già su tante persone, mentre io non ho fatto ancora nulla di notevole?Giulio Cesare
Bruto, anche tu figlio mio?
Biblio.
Enciclopedia Treccani
Dinastia Giulio-Claudia.Augusto:
Augusto, (27 a.C.- 14 d.C.) Gaio Giulio Cesare Ottaviano (lat. C. Octavius; dopo l'adozione da parte di Cesare: C. Iulius Caesar Octavianus; dal 27 a. C. il nome ufficiale è Imp. Caesar Augustus). - Primo imperatore romano (Roma 63 a.C. - Nola 14 d.C.). Fondatore dell'Impero romano, la sua opera chiuse definitivamente la crisi della repubblica, ormai inadeguata a reggere lo stato attraverso l'oligarchia senatoria, sostituendo un regime monarchico solidamente stabilizzato sull'esercito e sul dominio delle province: in ciò fu continuata l'opera di Cesare, salvo che A. volle evitare ogni aspetto di usurpazione e di dittatura, giustificando il suo regime dal punto di vista repubblicano. Non c'è dubbio però che questa soluzione (per cui l'imperatore derivava il potere dal senato, mentre la sua autorità, con le sue forze militari ed economiche, era in realtà indipendente dal senato) costituì il dissidio intrinseco del principato, che A. lasciò ai suoi successori. Oltre alla soluzione costituzionale, l'opera veramente grandiosa di A. fu la realizzazione dell'unità dell'Impero, cioè la collaborazione armoniosa degli elementi eterogenei che lo componevano sotto una forza regolatrice, che assicurava il benessere e la pace, soddisfacendo all'antico ideale dell'abolizione delle guerre tra i partecipi della stessa civiltà.
VITA E ATTIVITÀFiglio di Gaio Ottavio e di Azia (nipote di Cesare), nacque in Roma il 23 sett. 63 a. C. e fu adottato da Cesare nel 45; da Apollonia (ove si trovava quando Cesare fu assassinato) venne a Roma nel maggio del 44, rivendicando i diritti di figlio ed erede del dittatore. Il rifiuto di Marco Antonio a consegnargli la sottratta eredità fece sì che intorno alla sua persona si riunissero tutte le forze che, alla morte di Cesare, volevano riprendere le antiche posizioni e che speravano di poter dominare meglio col giovanetto Ottaviano che non col potentissimo Antonio. In tal modo si creò la singolare situazione per cui egli ebbe al suo seguito veterani di Cesare e insieme il gruppo senatorio già avversario di Cesare. Ne sorse di conseguenza il conflitto con Antonio, il quale fu vinto in due battaglie a Modena (44-43) e riparò in Gallia. Ottaviano ruppe quindi l'artificiosa alleanza con l'oligarchia senatoria e, appoggiato dalla forza armata, assunse il consolato. Allo scopo di fronteggiare il pericolo dei repubblicani cesaricidi, venne a un accordo con Antonio, costituendo con lui e con Lepido il secondo triunvirato (43). Assieme ad Antonio vinse, a Filippi, Bruto e Cassio (42). Mentre Antonio ebbe il comando dell'Oriente, Ottaviano si assunse il compito delle assegnazioni ai veterani delle terre in Italia, ma dovette affrontare una guerra civile, provocata tra gli Italici da Lucio Antonio (fratello del triunviro), che sconfisse a Perugia (40). Rinnovati gli accordi con Antonio a Brindisi, combatté Sesto Pompeo che, dalla Sicilia e dalla Sardegna, esercitava un pericoloso dominio sul mare, e, con l'aiuto di Agrippa, lo vinse a Nauloco (36). Eliminato quindi anche Lepido (al quale spettava il comando dell'Africa), fu padrone dell'Occidente, e poiché Antonio con i suoi accordi con Cleopatra manifestava il disegno di voler trasformare l'Impero romano in una monarchia orientale, dichiarò guerra a Cleopatra e ad Azio (31) sconfisse la regina e Antonio; la vittoria fu coronata l'anno dopo con la presa di Alessandria e i suicidî di Antonio e Cleopatra; in tal modo Ottaviano conquistò anche l'Egitto. Nel 29 celebrò a Roma un triplice trionfo e chiuse il tempio di Giano. L'era delle guerre civili era terminata.
PUBBLICITÀ
Divenuto padrone dell'impero, dovette risolvere il problema costituzionale: egli inserì la sostanza monarchica del nuovo regime nell'ambito delle forme repubblicane. A ciò servì non tanto il consolato (rivestito consecutivamente dal 31 al 23), quanto l'imperio proconsolare, che gli dava il comando militare, e la potestà tribunicia (assunta nel 23), che gli conferiva, col diritto di veto, una posizione dominante fra le altre magistrature; fu conservato anche il titolo di imperator, generale vittorioso; la sua posizione predominante si rifletteva nel titolo di Augusto, col suo significato di onore e venerazione (non di culto), del quale il senato lo insignì nel 27. Nel 12 a. C. fu fatto pontefice massimo, nel 2 a. C. ebbe il titolo di pater patriae. Il nuovo regime seppe interpretare la coscienza della missione dominatrice e civilizzatrice dell'Impero romano, e della pace feconda di operosità, di ordine e di benessere; e questi ideali di gloria e di pace, che si riflettono nelle lettere e nelle arti del tempo, poterono oscurare gli antichi ideali di libertà. L'imperatore attuò anche una grandiosa riforma dell'organizzazione dello stato (quale era richiesta dalla crisi degli antichi ordinamenti e dalle esigenze del nuovo sistema politico). L'amministrazione (a danno delle magistrature repubblicane) fu messa nelle mani di funzionarî dipendenti dall'imperatore, formando così una nuova categoria di burocrati e determinando l'ascesa della classe equestre. A. prese su di sé la cura dell'annona, delle vie, degli acquedotti, ecc., la monetazione in oro e in argento. Divise le province in senatorie e imperiali, creò il fisco imperiale con i redditi delle province da lui dipendenti; provvide all'istituzione del censo provinciale. Creò contingenti fissi di legioni (25 unità) per le zone di confine renane, danubiane e orientali, nonché in Egitto, Africa e Spagna. Divise l'Italia in 11 regioni, riorganizzò l'amministrazione di Roma, che divise in 14 regioni, stabilì le coorti urbane come guarnigione, le coorti dei vigili per la sicurezza e la difesa contro gl'incendî. Furono da lui istituite le coorti pretorie e fissate nel numero di nove, di cui tre stabilite in Roma e le altre sparse in Italia. Combatté il malcostume con una vasta legislazione che metteva le assocíazioni sotto il controllo dello stato, puniva le malversazioni elettorali, tutelava la famiglia, ecc. Cercò di ravvivare la religione tradizionale. A Roma (foro di Augusto, Campo Marzio, ecc.) e fuori svolse una grandiosa attività edilizia. Fondò 28 nuove colonie.
Al tempo stesso A. dovette provvedere alla tranquillità delle province periferiche: negli anni 27-24 furono condotte azioni vittoriose contro i Cantabri; i popoli alpini furono sottomessi dopo ripetute azioni; i rapporti coi popoli dell'Oriente furono regolati, in gran parte per merito di Agrippa, con vantaggiosi accordi: Erode, re di Giudea, divenne vassallo dei Romani; i Parti restituirono nel 20 le insegne perdute da Crasso e da Antonio. Nel 19 la Penisola Iberica era definitivamente pacificata dopo le azioni condotte da Agrippa. Negli anni 16-15 una spedizione nel Norico fu con pieno successo condotta da Tiberio: furono create le province Rezia e Norico. Tiberio in tre anni (12-9) di sanguinosa guerra contro i Pannoni portò il confine al Danubio; in Germania furono condotte vittoriose spedizioni da Druso (12-9) e da Tiberio (8) e la regione tra il Reno e l'Elba fu assoggettata. I Parti dovettero nell'1 a. C. rinnovare gli accordi di fronte ai preparativi di una spedizione diretta da Gaio Cesare. In Germania, dove Maroboduo minacciava le posizioni romane, Tiberio (4 d. C.) assicurò nuovamente la linea dell'Elba, e dovette quindi con una dura lotta debellare l'insurrezione scoppiata in Pannonia e in Dalmazia (6-9). Nel 9 d. C. Varo subiva una grave disfatta da parte di Arminio, nella selva di Teutoburgo; Tiberio, accorsovi, arretrò la linea difensiva sul Reno. Nel 14 d. C., A. morì a Nola e fu sepolto a Roma nel mausoleo del Campo Marzio. Egli ebbe tre mogli: Clodia fino al 41 a. C., Scribonia che sposò nel 40 e dalla quale ebbe Giulia, e dal 39 Livia, già sposa di Tiberio Claudio Nerone (dal quale essa aveva avuto Tiberio ed era incinta di Druso). A. si preoccupò a lungo della successione; apparvero prima designati il nipote Marcello, che sposò nel 25 Giulia, ma morì nel 23 a. C.; quindi Agrippa, che sposò a sua volta Giulia, e nel 18 a. C. fu insigníto della potestà tribunicia ma morì nel 12 a. C., poi i figli di Agrippa e di Giulia, Gaio e Lucio Cesare, che furono adottati da Augusto ma morirono rispettivamente nel 4 e nel 2 d. C. Infine, essendo morto nel 9 a. C. anche Druso, unico erede possibile fu il figliastro Tiberio, adottato nel 4 d. C.
Augusto scrittore. A. fu scrittore puro ed elegante. Scolaro per l'eloquenza latina del retore Marco Epidio, per la cultura greca di Apollodoro di Pergamo, fu sempre studioso di eloquenza, ma con prevalente interesse politico e moralistico. Per prudenza politica scrisse sempre i suoi discorsi; anzi si dice che preparasse per iscritto memoriali per i colloqui più importanti, per non dire di più o di meno di quel che doveva. E dai numerosi frammenti delle epistole ai famigliari e di quelle ufficiali si vede com'egli fosse lontano dal turgido preziosismo asiano ma anche dal voluto arcaismo; né, colto com'era di greco, evitava parole ed espressioni greche. Scrisse: Rescripta Bruto de Catone, risposta al panegirico di Catone fatto da Bruto; esortazioni alla filosofia (Hortationes ad philosophiam); le proprie memorie in 13 libri (Commentarii de vita sua) fino alla fine della guerra cantabrica (24 a. C.); una Descriptio Italiae, opera geografica in cui si valse del materiale lasciato da Agrippa; una Vita di Druso; un poemetto in esametri, Sicilia; un libro di epigrammi (ne restano due di scarso valore letterario); aveva cominciato una tragedia Aiax, che poi, malcontento della forma, distrusse. Resta invece l'Index rerum a se gestarum, elenco delle sue imprese, da A. redatto poco prima di morire, e affidato alla custodia delle Vestali perché alla sua morte fosse inciso su tavole di bronzo davanti al suo mausoleo. Di esso furono fatte numerose copie, una delle quali quasi integra è il cosiddetto Monumentum Ancyranum.
Iconografia di Augusto. Oltre alle belle effigie su monete, si conservano di A. più di 140 ritratti in scultura (dall'Italia e dalle varie provìnce) che lo riproducono dalla giovinezza alla maturità. Notevoli soprattutto le teste marmoree del Museo Capitolino, di Istanbul (proveniente da Pergamo), di Chiusi, di Ancona, quelle bronzee di Londra (da Meroe), del Museo Profano al Vaticano, e le due statue, quella loricata ritrovata a Prima Porta (ora al Vaticano) e quella togata come pontefice (ritrovata in via Labicana, ora al Museo naz. rom.), capolavori della ritrattistica augustea. A. compare anche nel fregio dell'Ara Pacis, nella gemma augustea di Vienna e nel cammeo Strozzi-Blacas a Londra.Biblio.Enciclopedia Treccani
L’Ara Pacis Augustae o altare della Pace fu costruita (13-9 a.C.), per celebrare il ritorno di Augusto dalle sue campagne in Spagna e in Gallia. La struttura in marmo è un capolavoro della scultura romana.
Dinastia giulio - claudia
Tiberio (14-37)Claudio Nerone fu il secondo imperatore romano, successore di Ottaviano Augusto. Nacque nel 42 a.C. da Tiberio Claudio Nerone e da Livia, la quale poi sposerà in seconde nozze, nel 38 a.C., Ottaviano. Assieme al fratello Druso, Tiberio venne incaricato dal patrigno Augusto di importanti incarichi militari, ma non fu mai il preferito dell’imperatore. Ai due figli di Livia infatti egli preferiva i due figli che sua sorella Giulia ebbe da Agrippa, cioè Gaio e Lucio. Druso e Tiberio, però, davano buone prove di sé sui confini settentrionali, portando a termine conquiste difficili nella Rezia e nel Norico, lungo il corso del Danubio. Gli anni dal 14 al 9 a.C. videro i due fratelli continuamente impegnati su quei fronti. Druso riuscì a estendere le conquiste in Germania fino al fiume Elba, ma morì a seguito delle ferite riportate in battaglia. Frattanto Tiberio, che fino ad allora era stato all’ombra del più capace fratello, si ritirò stanco delle continue battaglie nell’isola di Rodi.Di lì venne richiamato nel 4 d.C.: Augusto lo adottò e lo designò suo successore al trono, essendo morti, in rapida successione, i suoi preferiti Gaio e Lucio. Tiberio non smise di impegnarsi sul fronte danubiano. Il disastro di Teutoburgo del 9 d.C., con la distruzione di tre legioni romane a opera dei Germani di Arminio, lo costrinsero a correre ai ripari per salvare l’ancora insicura provincia di Pannonia, azioni che gli fruttarono nel 13 un trionfo e onori pari a quelli dell’ormai vecchio e malato Augusto, che morì l’anno dopo.Tiberio imperatore.Tiberio accettò con titubanza la successione, mostrando una grande deferenza nei confronti del Senato e rinunciando a quei titoli onorifici, concessi ad Augusto, che potevano suonare comunque offensivi per i senatori. Nonostante tutte queste precauzioni, fallì ogni sforzo di trovare un accomodamento con il Senato, che si illudeva di poter recuperare un potere ormai definitivamente perduto: la storiografia di origine senatoria, rappresentata soprattutto da Gaio Svetonio e da Tacito, è unanime nel fornirci un’immagine negativa e quasi caricaturale di Tiberio.
Nonostante i lunghi anni di continuo impegno al fronte Tiberio non amò mai la vita militare e fu quindi ben lieto di potersi appoggiare alle grandi capacità del figlio adottivo Germanico. In Germania questi riuscì a vendicare il disastro di Teutoburgo, ma durante una spedizione in Oriente, dove si ripresentavano ancora una volta i consueti problemi con il vicino Impero dei Parti morì in circostanze misteriose .Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Calìgola (37-41) (lat. C. [Iulius] Caesar Germanĭcus; il gentilizio non ricorre mai). - Imperatore romano (Anzio 12 d. C. - Roma 41). Figlio di Germanico e di Agrippina maggiore, fu soprannominato Caligula dalla calzatura militare (calǐga) che egli portò fin da fanciullo. Successo a Tiberio (37) con l'aiuto del prefetto del pretorio Macrone, instaurò un governo assoluto, mettendosi in urto col senato e le classi dirigenti, mentre cercava il favore popolare. Dissoluto nella vita privata, introdusse nella corte un fasto orientale, e pretese onori divini, suscitando rivolte tra gli Ebrei. Alla debolezza della politica interna cercò inutilmente rimedio con la politica estera: concesse infatti in Palestina una tetrarchia a Agrippa I, e restituì il regno di Commagene ad Antioco IV. La sua azione militare fu insignificante: a parte la spedizione sul Reno che rimase solo un mero progetto, nel 40 organizzò una spedizione per la conquista della Britannia che si risolse in una farsa. Fu infine ucciso in una congiura di senatori e cavalieri, capeggiata dal tribuno Cassio Cherea.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Clàudio (41-54), (lat. Ti. Claudius Caesar Augustus Germanĭcus). - Nato a Lione nel 10 a. C., fu imperatore romano dal 41 al 54 d. C. Figlio di Druso maggiore e di Antonia minore, fino ai cinquant'anni visse tra gli studî, componendo opere di storia e di filologia. Dopo l'assassinio di Caligola fu dai pretoriani acclamato imperatore. C. riuscì a dare al suo regno una fisionomia col vantato ritorno alle tradizioni repubblicane, che volle dire restituzione dell'autorità al senato, restaurazione della religione e del costume e ripristino della censura. Così C. poté tra l'altro epurare il senato e rafforzarlo con elementi dell'ordine equestre, perseguendo con ciò un avvicinamento delle classi. Restituì agli Ebrei, nelle province, i diritti tolti loro da Caligola; li espulse però da Roma. Mirando all'unificazione dell'impero, concesse la cittadinanza romana a molte colonie. Costruì un nuovo acquedotto e un porto alle foci del Tevere. La maggiore impresa bellica fu la conquista della Britannia (43-51); ma nonostante il corso favorevole della campagna, non oltrepassò la linea Tamigi-Saverna: C. ebbe gli onori del trionfo. Represse inoltre la rivolta dei Cauci con Corbulone (47), e vinse i Catti con Pomponio Secondo (50); fece occupare la Mauretania, dette la Giudea ad Agrippa I. Sposato in terze nozze con Messalina, dalla quale ebbe Britannico, pare ne fosse poi ripudiato (nel 49); sposò quindi la nipote Agrippina (dalla quale si sospetta che fosse poi avvelenato): essa riuscì nella successione a fare anteporre a Britannico il proprio figlio Nerone avuto da Cn. Domizio Enobardo, facendolo adottare da Claudio.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Nerone (54-68).Nato nel 37 d.C. da Gneo Domizio Enobarbo e da Agrippina Minore, Lucio Domizio Enobarbo era il rampollo di una delle più nobili famiglie romane. In quanto pronipote di Ottaviano Augusto per parte di madre, Nerone crebbe a corte con sua zia Messalina, moglie di Claudio, ed ebbe come maestro il grande filosofo Lucio Anneo Seneca. Alla morte di Messalina, Claudio sposò proprio Agrippina e adottò Nerone. Dopo l’adozione Lucio Domizio cambiò il suo nome in quello di Nerone Claudio Cesare e, pochi anni dopo, sposò Ottavia, la figlia di Claudio e Messalina.
Nel 54 Claudio morì, e Nerone gli successe alla guida dell’Impero. I suoi primi cinque anni di governo (quinquennium Neronis) sono descritti in tutte le fonti come anni felici: sotto l’influenza di Seneca e del prefetto del pretorio Afranio Burro, Nerone seguì una politica favorevole al Senato, tesa a garantire i privilegi e le immense ricchezze di questo influente gruppo di potere e del ceto dei liberti (ex schiavi) affaristi; gli insegnamenti di Seneca, inoltre, sollecitavano nel giovane e influenzabile imperatore l’amore per la cultura greca che sarebbe esploso, con manifestazioni eccessive e maniacali, nella seconda parte del suo regno.Nel frattempo Nerone iniziò una relazione sentimentale con la bellissima Poppea, suscitando l’indignazione della moglie Ottavia e della madre Agrippina, che tentò addirittura di prospettare la sostituzione sul trono di Nerone con Britannico, figlio di Claudio e Messalina. Nerone, allora, agì con spietata lucidità: eliminò in successione Britannico (55), Agrippina (59) e infine Ottavia (62).L’anno del matricidio (58-59) fu l’anno della svolta nella politica dell’imperatore. Nerone si svincolò dai suoi consiglieri per intraprendere una politica demagogica – fatta di grandi giochi per il popolo e di distribuzioni di pane e di denaro – che si sarebbe via via accentuata nel corso del regno.Per colpire il lusso sfrenato della classe senatoria e dei potenti liberti imperiali Nerone attuò una riforma monetaria tesa a favorire il potere di acquisto della moneta d’argento – che circolava soprattutto nelle mani della classe media, dell’esercito e della burocrazia imperiale – sulla moneta d’oro, che era posseduta soprattutto da senatori e dai liberti imperiali. Questa politica si rivelò utile ed efficace, ma alienò per sempre all’imperatore i favori della classe senatoria, che fu in particolare colpita dalla riforma. Sempre nel 58 Seneca si ritirò dalla vita pubblica. Pochi anni dopo Afranio Burro moriva in circostanze non chiare.L’incendio di Roma.Nel 64, a Roma, si sviluppò il celebre incendio del quale vennero accusati i cristiani. In realtà si trattò di uno dei tanti incendi che minacciavano continuamente la popolosa capitale dell’Impero, ma l’odio contro il tiranno da parte di senatori e di cristiani, nonché il fatto che Nerone approfittò dell’incendio per intraprendere la costruzione di un’immensa reggia – la Domus aurea – portò alla diceria che l’incendio fosse stato opera dello stesso imperatore. In ogni caso, durante quella che fu la prima persecuzione contro i cristiani vennero martirizzati s. Paolo e s. Pietro.Nel 65, venne scoperta e punita la congiura capeggiata da Calpurnio Pisone, che portò all’uccisione di Seneca, Petronio e Lucano, tre dei maggiori autori della letteratura latina.In Oriente, frattanto, si verificarono eventi importanti: la sottomissione temporanea dell’Armenia all’egemonia di Roma e lo scoppio della grande rivolta giudaica che si sarebbe concluso solamente nel 70 d.C. con la conquista di Gerusalemme da parte di Tito e la definitiva distruzione del tempio. L’ostilità della nobiltà senatoria e della corte diede origine, alla fine, a un’insurrezione militare, che costrinse al suicidio Nerone ormai braccato (68). Aborrita dalla storiografia di matrice senatoria e da quella cristiana e giudaica, la figura di Nerone conservò tratti positivi solamente nel ricordo della plebe urbana, che sempre gli rimase grata e riconoscente.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Galba, (68-69),Servio Sulpicio (lat. Servius Sulpicius Galba). - (Terracina 4 a. C. - Roma 69 d. C.) Stimato alla corte di Augusto e di Tiberio e protetto dall'imperatrice Livia, fu console nel 33; poi legato della Germania Superiore, sottomise i Catti nel 41; dal 45 al 47 fu proconsole d'Africa; dal 60 al 68 governò la Spagna Tarraconense. Nel 68, contemporaneamente alla rivolta di Vindice in Gallia, si ribellò a Nerone: la sua azione ebbe successo; l'8 giugno 68 il senato dichiarava Nerone hostis publicus e proclamava imperatore G.; Nerone poco dopo si dava la morte. Ma il primo fervore di simpatia per G., considerato come il restauratore della vecchia libertà repubblicana, svanì rapidamente; mentre in Germania era eletto imperatore Vitellio (2 genn. 69) e in Oriente sorgeva la candidatura di Vespasiano, in Roma stessa prevalse Otone, che rovesciò e fece uccidere Galba (15 genn. 69).
Biblio.
Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Otóne (69)(lat. M. Salvius Otho). - (n. 32 - m. 69 d. C.), amico di Nerone e compagno delle sue dissolutezze; sposò Poppea; essendosi Nerone innamorato di lei, O. fu mandato come legato in Lusitania dove rimase fino alla morte dell'imperatore (68). Aderì subito a Galba nella speranza di essere da lui adottato, ma, non essendovi riuscito, attrasse a sé gli elementi fedeli alla dinastia giulio-claudia, atteggiandosi a vendicatore di Nerone; conquistatosi il favore dei pretoriani, fatto uccidere Galba, si fece acclamare imperatore (15 genn. 69). Si trovò però di fronte Vitellio, che era stato proclamato imperatore dalle legioni germaniche, e alla superiorità militare di questo non poté opporre forze adeguate. Nell'aprile del 69 attaccò i vitelliani a Bedriaco, nelle vicinanze di Cremona, tentando di impedire loro di passare il Po; sconfitto, si uccise.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia giulio - claudia
Vitèllio (69) , Aulo. - Imperatore romano (n. 15 d. C. - m. 69), uno degli imperatori del periodo dell'anarchia seguente alla morte di Nerone (68-69). Poco dopo essere diventato governatore della Germania inferiore (69) fu acclamato augusto dalle proprie truppe in contrapposizione a Galba e poi a Otone, che sconfisse a Bedriaco, presso Cremona. Nello stesso anno fu a sua volta vinto da Vespasiano e ucciso.Di nobile famiglia, fu console (48) e proconsole in Africa. Da poco comandante della Germania inf., il 2 genn. 69 fu salutato imperatore dalla I legione, presto seguita dalle altre e da quelle della Germania super., ribelli contro Galba. All'annunzio della sostituzione di Galba con Otone (15 genn.), V. era già in marcia verso l'Italia. A lui aderirono la Gallia Belgica, la Lugdunense, la Rezia, l'Aquitania, la Gallia Narbonense, la Britannia e la Spagna. Con abile manovra militare, dovuta però soprattutto ai suoi luogotenenti, avendo diviso in due le sue forze, V. entrò in Italia, superando la debole resistenza di Otone, che fu poi battuto (metà aprile) presso Bedriaco e si suicidò. Tuttavia, V. non seppe sfruttare concretamente il successo, non avendo vere doti militari e non essendo in grado di rendersi conto della vicenda in cui era stato trascinato. Riconosciuto rapidamente dall'Oriente, dette inizio a una cattiva politica di vendetta sugli ex oppositori, e atteggiandosi, anche nei costumi, a successore di Nerone, scontentò tutti. Contro di lui le legioni del Danubio e dell'Oriente si accordarono sul nome di Vespasiano, salutato imperatore in Egitto (1º luglio 69). Privo dei legati migliori, o tradito da essi (come da A. Cecina), V. non fu in grado di opporre resistenza alle truppe del nuovo imperatore, guidate da M. Antonio Primo e il suo esercito venne sconfitto davanti a Cremona. A Roma, V. era pronto a cedere il potere al fratello di Vespasiano, Flavio Sabino, ma, costretto dal popolo a restare, organizzò una spedizione contro di lui, chiuso sul Campidoglio, nel corso della quale s'incendiò il tempio di Giove Capitolino. La sera stessa (20 dic. 69), vinte le ultime resistenze, Antonio Primo entrò a Roma e V., dopo aver tentato di fuggire, venne catturato e precipitato dalle gemonie.
Biblio.Enciclopedia Treccani
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.Dinastia dei Flavi
Vespasiano (69-79), Tito Flavio (lat. T. Flavius Vespasianus), imperatore. - (n. presso Rieti 9 - m. Cutilie, Sabina, 79). Ricoperse le più alte cariche sotto Caligola e Claudio; alla morte di Nerone si trovava in Giudea, col compito di sottometterla. Fu acclamato imperatore dalle truppe e nel dicembre del 69 d. C. il Senato ratificò la sua elezione. Durante il suo regno, seguito al biennio 68-69, nel quale si erano succeduti sul trono di Roma ben cinque imperatori, V. riuscì a riportare nell'Impero l'equilibrio politico, economico e sociale, realizzando una revisione del catasto e prendendo provvedimenti in favore delle provincie; importanti furono anche i suoi interventi urbanistici nella città di Roma.
VITA E ATTIVITÀFiglio di Flavio Sabino e di Vespasia Polla. Sposò Flavia Domitilla ed ebbe tre figli: Tito, Domiziano e Domitilla. Fu questore nella provincia di Creta e Cirene; sotto Caligola fu edile e pretore; sotto Claudio fu legato della legione II Augusta sul Reno e in Britannia, dove riportò notevoli vittorie meritando gli ornamenti trionfali; esercitò poi il proconsolato d'Africa con somma integrità. Mentre era (66) in Grecia al seguito di Nerone, cadde in disgrazia e fu allontanato, ma poi fu richiamato per soffocare la ribellione giudaica, e infatti (67) riuscì, col figlio Tito, a sottomettere la Galilea; occupò quindi il territorio attorno a Gerusalemme, ma la guerra fu interrotta dalla notizia della morte di Nerone e dalle complicazioni politiche che seguirono. Mentre prometteva fedeltà ai successori di Nerone, preparò, con l'aiuto del governatore della Siria, Muciano, il piano per conquistare il trono. La proclamazione avvenne prima in Egitto (69); seguì l'adesione delle truppe di Giudea e di Siria e delle province asiatiche, e quindi delle legioni di Mesia, di Pannonia e di Dalmazia. I Vitelliani furono battuti a Cremona da Antonio Primo, legato della VII Gemina; Vitellio fu ucciso in Roma, e V. fu riconosciuto imperatore dal senato. La direzione del governo, nominalmente tenuta dal figlio Domiziano, fu assunta di fatto da Muciano; questi procedette contro i Vitelliani e contro quei Flaviani che considerava d'impaccio alla sua azione politica. Sul Reno fu domata, per opera di Petilio Ceriale e di Annio Gallo, la ribellione dei Batavi che, guidati da Giulio Civile, erano insorti nella Germania Settentrionale e nella Gallia (fine 70). Nello stesso anno il figlio di V., Tito, conquistò e distrusse Gerusalemme. V., che si era trattenuto in Egitto, venne a Roma e iniziò la sua opera mirante a rinnovare la potenza di Roma e a restaurare la pace. Celebrò (71), insieme col figlio Tito, il trionfo giudaico e costruì un grandioso tempio alla Pace. Per restituire autorità al potere imperiale minacciato dalle forze dell'esercito rinsaldò la disciplina, reclutò prevalentemente i soldati delle legioni fra i provinciali, ridusse le coorti pretoriane da sedici a nove. Scelse come collaboratore il figlio Tito, designato anche come suo successore, lo fece partecipe della potestas/">potestas tribunicia e dell'imperium proconsulare (71) e gli conferì la prefettura del pretorio. Verso il senato mostrò deferenza e rispetto, ma volle epurare l'aristocrazia senatoria da molti elementi indegni che vi si erano infiltrati, sostituendoli con uomini più degni, anche provinciali: a questo fine assunse (73) la censura insieme con Tito. Fra i problemi più difficili che V. riuscì a risolvere fu quello finanziario: a tale scopo impose nuove imposte, e revisionò rigorosamente il catasto, procurandosi fama di cupidigia e avarizia. Svolse un'azione notevole in favore delle province, sia dal lato della romanizzazione (soprattutto nell'Occidente), sia da quello della organizzazione; alcuni cambiamenti nell'organizzazione provinciale furono fatti a scopo fiscale, altri e più numerosi a scopo militare. Furono ricostruiti e rafforzati i campi legionari, sulla riva destra del Reno fu portata avanti la linea di difesa; sul Danubio fu rafforzato il sistema difensivo della Rezia e della Mesia; in Britannia la conquista romana fu estesa a tutta la Scozia meridionale per opera di Petilio Ceriale, di Frontino e di Agricola. V. abbellì Roma di splendidi edifici; oltre al tempio della Pace iniziò la costruzione dell'Anfiteatro Flavio, riedificò il tempio di Giove Capitolino, ampliò il pomerio urbano.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia dei Flavi
Tito (79-81) (lat. T. Flavius Vespasianus) imperatore. - (Roma 39 - Cotilia 81), Figlio di Vespasiano, quando il padre fu eletto imperatore nel 69, egli divenne Cesare. Aveva già partecipato a varie campagne, fra queste la guerra giudaica, della quale Vespasiano gli affidò il comando; nel 71 partecipò col padre al trionfo giudaico; divenne nello stesso anno correggente e gli successe nel 79. Regnò brevemente, morendo a soli 42 anni, e fu divinizzato poco dopo.
VITA E ATTIVITÀFiglio primogenito di Vespasiano e di Flavia Domitilla, sposò in seconde nozze Marcia Furnilla, dalla quale ebbe una figlia, Giulia. Partecipò col padre alla guerra giudaica, ed ebbe una parte importante in molte azioni vittoriose; poi (69) accompagnò il padre, già acclamato imperatore, in Egitto. Avuto l'incarico di porre termine alla guerra giudaica, iniziò (70) l'assedio di Gerusalemme; la resistenza dei Giudei fu disperata e durò ben cinque mesi. Anche il Tempio, forse contro la volontà del vincitore, fu distrutto. T. si recò quindi a Cesarea, a Berito, ad Antiochia e in Egitto, svolgendo un'importante azione politica. Tornato a Roma (71) celebrò uno splendido trionfo, di cui resta memoria nell'arco eretto in suo onore sulla via Sacra. Sempre nel 71, investito della potestas/">potestas tribunicia e dell'imperium proconsulare, divenne coreggente nell'Impero, fu collega del padre anche nel consolato e nella censura, e altresì prefetto del pretorio. Quando successe al padre, l'opinione pubblica non gli era molto favorevole, poiché si era mostrato duro nel punire i sospetti e si era esposto a critiche per la sua vita licenziosa e la relazione con la giudea Berenice, che fu costretto ad allontanare da Roma. Ma da imperatore T. seppe liberarsi dei suoi difetti e mettere invece al servizio del bene pubblico le sue doti non comuni. Diede grande impulso all'attività edilizia: portò a termine l'anfiteatro Flavio (inaugurato con grandi celebrazioni nell'80), costruì le terme che da lui prendono il nome, fece riparare acquedotti e numerose strade. Il principale avvenimento militare fu la continuazione della conquista della Britannia per opera di Agricola, che portò il dominio romano fino alla linea Clota-Bodotria (Firth of Clyde-Firth of Forth); l'usurpazione in Asia Minore di Terenzio Massimo fu facilmente eliminata. Gravi calamità funestarono il suo regno: la grande eruzione del Vesuvio (79), che seppellì Pompei, Ercolano, Stabia, e a Roma un incendio che distrusse il tempio di Giove sul Campidoglio, la domus Tiberiana sul Palatino, i Saepta, il Pantheon e le terme di Agrippa (80). Verso coloro che erano stati colpiti da tali sventure T. mostrò non solo la sollecitudine di un sovrano, ma l'affetto di un padre. In seguito a un attacco di febbri, morì in Sabina. Unanime fu il compianto per la morte dell'imperatore che aveva meritato la qualifica di amor ac deliciae generis humani.Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia dei Flavi
Domiziano,(81-96) Tito Flavio (lat. T. Flavius Domitianus, poi Imp. Caesar Domitianus Augustus). - Figlio (Roma 51 d. C. - ivi 96) di Vespasiano e fratello di Tito, fu imperatore tra l'81 e il 96. Con l'obiettivo di rafforzare la struttura dell'Impero, da una parte attuò una politica di espansione territoriale (consolidamento della conquista della Britannia, costruzione del limes germanico, vittorie su catti, sarmati/">sarmati e suebi), dall'altra combattè il Senato ingraziandosi i ceti popolari (restauri e abbellimenti di Roma) e provinciali (estensione dei diritti di cittadinanza, concessione di cariche e onori). Comportandosi come un sovrano assoluto, provocò moti di rivolta e congiure, nel corso di una delle quali fu ucciso.
VITA E ATTIVITÀDopo la sconfitta dei Vitelliani (69), fu salutato Cesare ed ebbe la pretura e l'imperium proconsolare. Nell'assenza da Roma del padre e del fratello maggiore Tito, li sostituì commettendo varî abusi: sicché, benché fosse più volte console dal 71 all'80, fu tenuto però lontano dal governo. Alla morte del fratello Tito, gli successe nell'81. Muovendo sulle due direttive, in fondo convergenti, dell'affermazione assolutistica e della ripresa all'esterno di una politica d'espansione, D. per quanto personalmente privo di grandi doti di governo o di capacità militare, occupa nella storia del 1º sec. un posto peculiare e assai importante. Infatti, da un lato, Agricola battendo i Caledoni consolidò la conquista della Britannia, nell'83 furono sottomessi i Catti e gran parte del loro territorio fu annessa all'Impero (mentre fu domata con rigore l'insurrezione di Saturnino), fu iniziata la costruzione del limes germanico, e in Pannonia D. diresse personalmente le operazioni contro i Sarmati e i Suebi; dall'altro, egli combatté con asprezza la classe senatoria (alla sua morte il senato ne decreterà poi la damnatio memoriae), cercando di fondare il suo dispotismo su una politica "popolare" di ricostruzione e di abbellimento di Roma, distrutta dall'incendio dell'80, ch'ebbe nuovi edifici (il palazzo imperiale sul Palatino, lo stadio di Piazza Navona, l'arco di Tito; fu terminato il Colosseo e iniziati il foro di Nerva e le terme di Traiano) e restauri lussuosi di numerosi templi, tra cui quello di Giove Capitolino. L'aspetto più positivo della politica di D. sta tuttavia nello sforzo da lui compiuto per consolidare la struttura dell'Impero; cercando, di contro all'oligarchia senatoria, l'appoggio dei provinciali cui concesse munificamente cariche e onori, e a favore dei quali estese il diritto di cittadinanza. D. si comportò durante il suo principato come sovrano assoluto: oltre a ventidue acclamazioni imperiali, a numerosi trionfi, ai titoli di Germanicus, Dacicus, Sarmaticus, egli assunse quello di Dominus et Deus. Tutto questo però era destinato a sollecitare, specialmente nel ceto più compresso, il senatorio, moti di rivolta e gesti di indipendenza. D. fu inesorabile, e la sua durezza divenne, col procedere degli anni, ombrosa diffidenza: fra le vittime furono Elio Lamia, Sallustio Lucullo, Salvio Cocceiano, Elvidio Prisco, Acilio Glabrione, i parenti Flavio Clemente e Flavia Domitilla. Ma formatasi una congiura nello stesso palazzo imperiale, con la complicità di due prefetti del pretorio e della stessa moglie Domizia Longina, D. fu ucciso (96). A causa della damnatio memoriae si sono conservati solo pochi suoi ritratti: fra i più belli è il busto dei Musei Capitolini. Caratteristiche salienti dell'iconografia di D. sono l'acconciatura a corta frangia piegata intorno all'alta fronte, il labbro inferiore rientrante, le guance piene sbarbate.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imperatori adottivi
Nerva,(96-98) Marco Cocceio (Marcus Cocceius Nerva) Imperatore romano (Narni 26-Roma 98). Membro dell’aristocrazia senatoria, fu console nel 71 e nel 90; settantenne succedette a Domiziano e cercò di sostituire al governo militare un principato aristocratico e di ristabilire un certo equilibrio politico. Per questo scopo non poté sottrarsi a compromessi con l’elemento militare, devoto alla memoria di Domiziano. Nel suo breve regno cercò di alleviare le condizioni delle classi povere con alleggerimenti fiscali (così l’abolizione della vigesima hereditatum nelle successioni in linea diretta) e distribuzioni di alimenti. Tentò anche, con scarso successo, l’acquisto da parte dello Stato di grandi proprietà per frazionarle e darle da coltivare a proletari. L’origine senatoria di N. non consentì una vera intesa con l’elemento militare: così, verso la fine del 97, dovette subire l’ammutinamento delle coorti pretorie e l’affronto dell’uccisione in sua presenza dei responsabili della morte di Domiziano; l’adozione di Marco Ulpio Traiano e la designazione di questo come successore significano che N. dovette tener conto dell’importanza dell’elemento militare. Per vari aspetti della sua opera, e in partic. scegliendosi come successore e associandosi nel regno Traiano, N. iniziò quella politica che sarà propria degli Antonini. A lui si deve, inoltre, il completamento del foro iniziato da Domiziano, detto Transitorio, con il tempio di Minerva. Biblio.Enciclopedia Treccani
imp. adottivi
.Traiano,(98-117). Marco Ulpio (lat. Marcus Ulpius Traianus). - Imperatore romano (Italica, Betica, 53 d. C. - Selinunte, Cilicia, 117). Di famiglia senatoria (il padre fu console, governatore della Betica, prese parte alla guerra giudaica, fu console in Siria e Asia), T. fu per dieci anni nell'esercito, facendovi una reale esperienza delle armi e del comando. Percorse poi i gradi della carriera civile senatoria: fu pretore in Spagna, comandò una legione in Germania, dove partecipò alla repressione della ribellione di Antonio Saturnino, fu console ordinario (91) e, quando Domiziano fu ucciso (96), era governatore della Germania superiore. Nerva, che aveva bisogno del sostegno d'un uomo forte e onesto non coinvolto nelle rivalità romane, e che godesse prestigio presso l'elemento militare, lo adottò come figlio, con cognome e dignità di Cesare, facendogli attribuire la potestà tribunicia (ottobre del 97). Morto Nerva (98), T. senza alcuna difficoltà gli succedette, assumendo l'impero. Attivissimo e intelligente nell'amministrazione come nelle armi, amato dal popolo e dalla classe militare, T. riuscì durante il suo regno a mobilitare intorno a sé anche i migliori elementi senatorî ed equestri, cui infuse l'entusiasmo necessario per fondare e sostenere una buona tradizione amministrativa (fonte importante per i primi anni del regno di T. è il Panegirico di T., opera di Plinio il Giovane, tipico/">tipico rappresentante dell'aristocrazia traianea). L'imperatore si preoccupò di alleviare alcune imposte e di arricchire il fisco vendendo largamente beni che i precedenti imperatori avevano accumulato e immobilizzato nel proprio patrimonio mediante acquisti, confische, doni, legati testamentarî. . Provvedimento notevole di T. fu l'istituzione degli alimenta, ossia la costituzione di una rendita destinata a fornire in Italia i mezzi di sussistenza a fanciulli e fanciulle povere, organizzata in modo tale da rappresentare al tempo stesso una forma di prestito agrario a basso interesse, onde agevolare il rifiorimento dell'agricoltura italica. Il principio del sistema (sul quale siamo informati da una delle più importanti epigrafi romane, la Tavola alimentare di Velleia, e da una iscrizione dei Ligures Baebiani, presso Benevento) consisteva nella destinazione di somme della cassa imperiale perché fossero date a prestito a proprietarî terrieri delle città italiane; i mutuatarî dovevano far iscrivere uno o più fondi in garanzia; gli interessi erano devoluti in favore di fanciulli o fanciulle povere della città. Sistemate le faccende interne, T., forte temperamento di soldato, ritenne necessario risolvere definitivamente alcune gravi questioni di confine, in primo luogo quella del Danubio, da tempo minacciato dal potente regno di Dacia, col suo re Decebalo. Negli anni 101-102 e 105-106 ebbero così luogo, sotto la sua personale direzione, le guerre daciche, al termine delle quali l'intera regione era ordinata a provincia romana. Tra i problemi di politica interna, egli doveva affrontare quello dei cristiani, verso i quali fu intransigente, cercando però di rispettare i principî di giustizia del diritto romano, istruendo i giudici a non tener conto delle denunce anonime, a dar luogo a processi solo dietro precise accuse, senza ricercare preventivamente i cristiani e a condannare questi solo se ostinati; tali principî egli espose in una lettera a Plinio il Giovane, che aveva consultato l'imperatore riguardo al trattamento da riservare ai cristiani nella provincia di Bitinia e Ponto; e tale fu poi il sistema di persecuzione più o meno rimasto in uso fino ai tempi di Decio, che dette inizio alle persecuzioni vere e proprie. Altro grave problema era quello dei rapporti col regno dei Parti, e T. colse l'occasione del contrasto scoppiato a proposito della successione al regno di Armenia, per iniziare, più che sessantenne, la nuova guerra. Precedentemente, i legati di T. avevano mutato assai favorevolmente la situazione orientale, battendo i Nabatei (105), e costituendo la nuova provincia di Arabia. T. compì vittoriosamente grandi operazioni militari, annettendo l'Armenia, giungendo in Mesopotamia, e scendendo con la flotta il Tigri, fino a Babilonia e al Golfo Persico. Ma una violenta sollevazione dei Giudei, il riapparire di forze nemiche qua e là nelle regioni conquistate, la ribellione di città occupate, e altri improvvisi rovesci, lo costrinsero a rinunciare al disegno della conquista totale e a incoronare egli stesso un nuovo re dei Parti (presto sostituito con un altro, eletto dai Parti stessi). Ammalatosi in Siria, T. affidò l'esercito al parente P. Elio Adriano (il futuro imperatore), e si avviò per tornare a Roma, ma a Selinunte di Cilicia improvvisamente morì. La sua fama rimase perpetua nella tradizione romana come quella di ottimo principe, e nel basso Impero l'acclamazione dei Cesari suonava Felicior Augusto, melior Traiano.Monumenti di TraianoA Roma, sotto T. si costruirono, oltre a un nuovo teatro e a un odeon di incerta collocazione, oltre ai restauri del Circo Massimo e del tempio di Venere Genitrice, un nuovo acquedotto che dal Lago di Bracciano portava l'acqua nella XIV regione urbana (Trastevere), le grandiose terme di cui restano avanzi sul Colle Oppio e, più importante di tutti, il centro monumentale del Foro che da lui prese il nome (v. foro: Archeologia) con la colonna coclide istoriata, narrante le due guerre daciche, dedicata nel 113 d. C. Altri lavori pubblici compì in Italia e nelle province. Rimediò alle insufficienze del porto ostiense di Claudio scavando entro terra un vasto bacino esagonale comunicante col porto e col fiume; altri lavori portuali compì a Centumcellae (Civitavecchia), a Terracina e ad Ancona. Ad Ancona e a Benevento si conservano i suoi archi trionfali. Costruì e riparò strade in Italia e in tutte le province, a cominciare dall'Appia (v. Traiana, Via). Una sobria iscrizione (tabula Traiana) ricorda ancor oggi l'apertura (100 d. C.) della via parallela al Danubio a Ogradena (presso Orşova). In Africa fondò la colonia di Thamugadi, circondata di mura poderose, la cui porta occidentale, da cui usciva la via per Lambesi, era conformata a grande arco monumentale dedicato all'imperatore.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imp.adottivi
Adriano (177-138), imperatore (Publius Aelius Hadrianus; dopo l'assunzione al trono detto imperator Caesar Traianus Hadrianus Augustus). - Imperatore romano (Italica, Spagna, 76 - Baia 138). Imperatore dal 117 al 138, la sua politica fu volta soprattutto al consolidamento delle frontiere dell'impero, che in quel periodo aveva raggiunto la sua massima espansione. Letterato, musicista, architetto, esteta raffinato, ammiratore della civiltà greca, uomo dissoluto, tormentato, egoista, A. presenta una complessa e contrastante personalità; come imperatore giovò molto allo Stato romano per la sua politica di pace esterna e interna e la sua saggezza amministrativa.
Vita e attività. Era figlio di Publio Elio Adriano Afro, cugino di Traiano, del quale godette sempre il favore, rivestendo alte cariche e partecipando alle guerre daciche. La successione al trono diede però luogo a discussioni, poiché Traiano aveva provveduto solo negli ultimi suoi giorni all'adozione di Adriano. Dalla Siria, dove era governatore, posta fine alla guerra partica a prezzo della rinuncia di alcuni territori, venne nel 118 a Roma (dove alcuni generali accusati di congiura contro l'imperatore erano stati messi a morte) proclamando i suoi propositi di una politica pacifica. Nel 121 iniziò la grande serie di viaggi per l'ispezione delle province: visitò la Gallia, provvide al confine germanico e danubiano, in Britannia iniziò la costruzione di un poderoso vallo (v. oltre), fu in Spagna, in Africa, in Oriente, in Egitto (dove gli morì il prediletto Antinoo, che amaramente pianse e onorò di culto divino), più volte ad Atene: ovunque lasciando traccia della sua provvida opera e ricevendo manifestazioni di lealismo. Tornò a Roma nel 134. Un'intensa attività edilizia monumentale distingue la sua epoca: in Roma il suo mausoleo (Castel S. Angelo), la ricostruzione del Pantheon, il Ponte Elio, la villa presso Tivoli (Villa Adriana); in Atene tutto un nuovo quartiere monumentale con la Porta, l'Olympièion, la Biblioteca, il Ginnasio, e molte altre costruzioni in varie città dell'impero. Egli stesso progettò il tempio di Venere e Roma sulla Velia.
Vallo di Adriano. Costruito nella Britannia da A. fra il 122 e il 127, era composto di due elementi principali: il muro e il vallo. Il muro correva per 117 km dall'imboccatura della Tyne a quella della Solway, con facce di blocchi squadrati, spesso alla base da 2 m a 3 m, alto fino a 5 o 6, con circa 320 torri rettangolari. Il lato N era fiancheggiato dal fossato largo fino a 12 m e profondo fino a 4 m, con circa 73 fortini quadrangolari a intervalli regolari, e varie stationes e castra. Un murus cespiticius, cioè di terra, costituiva forse una prima linea di difesa. Un vallum con fossa e terrapieni che va da Newcastle a E, a Dykesfield a O, sembra che costituisse un confine anteriore al muro. Dopo l'abbandono del vallo di Antonino Pio, il vallo di A. fu ricostruito e potenziato dall'imperatore Settimio Severo
imp.adottivi
Antonino Pio (138-161).Titus Aurelíus Fulvus Boioníus Arríus Antonīnus), imperatore romano (Lanuvio 86-Roma 161). Nato da famiglia facoltosa, di rango senatorio, originaria di Nemausus (Nîmes), percorsi i più alti gradi della carriera pubblica, succedette nel 138 ad Adriano, che l'aveva adottato (per la grande devozione alla memoria del predecessore si ebbe appunto il cognome di Pio). Anche se non poté evitare alcune guerre (contro i Mauri in Africa e contro i Briganti in Britannia), perseguì soprattutto opere di pace con provvedimenti intesi a migliorare le condizioni dei ceti umili. Diede vita a nuove istituzioni a favore delle fanciulle povere; emanò nuove leggi in forma di rescritti; concesse con larghezza la cittadinanza romana; favorì le arti e le scuole. A differenza di Adriano, uomo novatore e cosmopolita, conservò e impreziosì le antiche tradizioni. Tutto il suo impegno fu rivolto a consolidare, piuttosto che a estendere, l'impero, e in tale spirito, oltre al Vallo Antonino, costruì anche linee di fortificazione (limes) tra il Reno e il Danubio. Nel 148 celebrò in solennità il nono centenario di Roma che abbellì con monumenti che ne tramandassero le antiche leggende. Parco e semplice nella vita privata, usò con tutti clemenza, valorizzando al massimo la collaborazione del Senato. Dal suo nome i secoli I e II vennero indicati come era degli Antonini; in questo periodo l'Impero romano godette di una lunga pace che ne favorì il progresso civile. Fu seppellito nel mausoleo di Adriano. I suoi successori Marco Aurelio e Lucio Vero, da lui adottati, gli eressero una colonna, il cui basamento istoriato si trova in Vaticano.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imp.adottivi.
..Marco Aurèlio (161- 180) (lat. M. Annius Verus, come Cesare M. Aelius Aurelius Verus, come imperatore M. Aurelius Antoninus). - Imperatore romano (Roma 121 d. C. - Vindobona o Sirmio 180). Figlio di Marco Annio Vero e di Domizia Lucilla, alla morte del padre fu adottato dall'avo paterno Marco Annio Vero, che si occupò della sua educazione. Studiò lettere latine e greche, scienze giuridiche, eloquenza (per la quale ebbe come maestro Frontone), filosofia e pittura. Attratto specialmente dagli studî filosofici, seguì le dottrine stoiche, e di queste volle praticare, nonostante la delicatezza della sua costituzione fisica, tutta l'austerità. Molto apprezzato da Adriano, fu, per volontà di questo imperatore, adottato dal suo successore Antonino Pio, insieme a Lucio Vero. Nel 139 fu nominato Cesare; nel 140 e nel 145 fu console. Sposò Faustina (figlia di Antonino Pio), che amò sempre devotamente e dalla quale ebbe 13 figli. Nel 146 ebbe la potestà tribunizia e l'imperio proconsolare. Successe ad Antonino Pio nel 161, e volle condividere l'impero col fratello di adozione Lucio Vero. Si ebbero così per la prima volta due imperatori. L'impero di M. A. si svolse tra continue difficoltà: una rivolta in Britannia (162), le irruzioni dei Catti, le questioni del Danubio e del confine dei Parti. La guerra contro i Parti, che avevano invaso l'Armenia e la Siria, fu affidata a Lucio Vero (161-165): i Parti furono ricacciati, l'Osroene fu annessa alla Cappadocia e Carre divenne colonia romana; M. A. e Lucio Vero trionfarono a Roma (166). Pericolo più grave per l'Impero fu l'irruzione di tribù germaniche, formate soprattutto da Quadi e da Marcomanni, sulla linea danubiana, che riuscirono anche a valicare le Alpi, penetrarono nel Veneto e assediarono Aquileia. In Oriente la peste decimava le file dell'esercito, altri barbari irrompevano fino in Acaia e in Asia Minore. L'imperatore affrontò la delicata situazione con serena fermezza: apprestati ingenti mezzi finanziarî, per i quali ricorse anche alla vendita all'asta dei tesori dei palazzi imperiali, costituì nuove legioni. I Germani furono respinti e battuti in Pannonia, nella Rezia, nel Norico (167). Nel 169, morto Lucio Vero, M. A. rimase unico imperatore; ripresa la campagna contro i Germani, pose il suo campo a Carnunto, sopportando coraggiosamente le fatiche della guerra: nel 170 e nel 171 furono battuti i Quadi, nel 172 (dopo un'iniziale sconfitta subita da Macrinio Vindice) furono vinti i Marcomanni; intanto veniva domata una rivolta in Egitto e un'irruzione di Mauri in Spagna. Nel 173 M. A., posto il campo a Sirmio, riprese la lotta contro i Marcomanni; nel 174 furono vinti gli Iazigi, nel 175 M. A. concluse la pace a causa dell'inaspettata usurpazione di Avidio Cassio, che fu subito risolta con l'uccisione di questo. Nel 175 e nel 176 fu in Oriente, dove gli morì la moglie Faustina; tornato a Roma, celebrò il trionfo sui Germani (176), e unì nell'impero il figlio Commodo (177). Ma nello stesso anno i Marcomanni insorsero nuovamente: la guerra fu difficile, soprattutto per la peste, di cui rimase vittima anche l'imperatore nel campo di Sirmio o di Vindobona. Nella politica interna M. A. si dimostrò deferente verso il senato e ne desiderò la collaborazione; alle difficoltà finanziarie (dovute specialmente alle spese militari) fece fronte con una oculata amministrazione e con la semplicità della corte imperiale; ispirò la sua opera legislativa a sentimenti di umanità, reprimendo gli abusi di autorità, curando la tutela dei minori, stabilendo norme più benevole verso gli schiavi. Nel suo spirito conservatore fu avverso ai cristiani, e durante il suo impero si ebbero persecuzioni, sebbene non a lui imputabili. ▭ Dell'aspetto fisico di M. A. abbiamo testimonianza da numerose statue e ritratti (fra cui sono da ricordare il busto aureo proveniente da Avenches e la statua equestre in bronzo un tempo dorato, collocata fino al 1538 davanti a S. Giovanni in Laterano e in quell'anno posta nella piazza del Campidoglio; rimossa nel 1981 per un accurato restauro, dal 1990 la statua è conservata nei Musei Capitolini). Di grandi monumenti che ne celebrino le gesta ricordiamo, oltre la Colonna Antonina, i grandi rilievi poi inseriti nell'arco di Costantino, l'arco di Tripoli e un monumento a Efeso.Il pensiero filosoficoDi M. A. abbiamo una specie di diario, i Colloquî con sé stesso (Τὰ εἰς ἑαυτόν, divisi poi in 12 libri), noti nella traduzione italiana col titolo di Ricordi; esso è il documento dell'intuizione del mondo di M. A., che è quella del tardo stoicismo, principalmente rappresentato, oltre che dallo stesso M. A., da Seneca e da Epitteto. Il pensiero di M. A., che dipende più direttamente da quest'ultimo, è tutto permeato dall'ideale dell'"adiaforia". Temperamento meno energico e sistematico di Epitteto, egli lascia intravvedere assai più palesemente le antinomie intrinseche a quell'ideale, e la sua riflessione ne assume non di rado un tono di scetticismo e pessimismo. Tipico a questo proposito è il modo (che costituisce insieme il più notevole dei non molti tratti originali del suo stoicismo) in cui egli riprende la concezione eraclitea del perpetuo flusso delle cose, sentendovi in primo luogo l'inevitabile dissoluzione di ogni realtà. Ciò corrisponde, del resto, alla viva angoscia/">angoscia che lo assale di fronte al problema della morte, e che lo ravvicina sentimentalmente al platonismo, non del tutto estraneo anche ad alcune sue deviazioni dalla classica psicologia stoica, come quella per cui egli distingue nettamente il νοῦς, l'intelletto, dal complesso psicofisico della ψυχή e del σῶμα, dell'anima e del corpo. Ma tale separazione non lascia adito in M. A. all'idea dell'individuale immortalità dell'anima. Di qui l'incertezza di M. A. di fronte al problema della sopravvivenza, e la sua intima tendenza a rifugiarsi piuttosto nella meno luminosa ma anche meno incerta idea dell'insensibilità, con cui la morte affranca da ogni dolore. Idea che, originariamente socratica, era stata poi pienamente valutata e messa in luce dall'epicureismo: anche in M. A. si può quindi constatare la singolare coincidenza di alcuni motivi pessimistici del più tardo ascetismo stoico con motivi analoghi di quello epicureo.Biblio.Enciclopedia Treccani
imp.adottivi.
Lùcio Vèro (lat. L. Aelius Aurelius Commodus, come imperatore L. Aurelius Verus Augustus). - Imperatore romano (n. 130 - m. 169 d. C.) insieme con Marco Aurelio (161-169). Nacque da Lucio Ceionio Commodo, e (138) fu adottato dall'imperatore Antonino Pio, insieme con Marco Annio Vero, il futuro imperatore Marco Aurelio. Per volere di questo, alla morte di Antonino Pio (161) fu associato al trono con pari diritto; si ebbero così per la prima volta due imperatori. L. V. diresse la guerra contro i Parti (161-166); i successi riportati dai suoi generali consentirono il raggiungimento di notevoli obiettivi: l'Osroene fu annessa alla Cappadocia e Carre divenne colonia romana. Marco Aurelio volle associato nel trionfo del 166 il collega, cui aveva già concesso in moglie nel 164 la figlia. Nel 168 L. V. accompagnò Marco Aurelio nelle sue campagne senza che si possa precisare bene la parte da lui sostenuta nelle operazioni. Tornando dall'Illirico in Italia morì durante il viaggio. Dopo la morte fu divinizzato con il nome di Divus Verus Parthicus Maximus.Biblio.Enciclopedia Treccani
.imp.adottivi
Còmmodo,(177-192), Marco Aurelio (lat. M. Aurelius Commŏdus Antoninus; prima del 180 L. Aelius Aurelius Commŏdus). - Imperatore romano (Lanuvio 161 d. C. - Roma 192): figlio di Marco Aurelio, fu nel 176 nominato imperator dal padre, che troncò la serie degli imperatori "adottivi" tornando al principio dinastico. Alla morte del padre (180), C. combatteva con lui al confine danubiano: obbligati alla pace i Quadi e i Marcomanni, venne a Roma, dove ben presto instaurò un regime di corruzione e di terrore; nel 182 una congiura ordita dalla sorella Lucilla e dal cugino Ummidio Quadrato fu scoperta e portò alla morte dei congiurati; C. fece poi uccidere la moglie Crispina accusata di adulterio, Tarrunteno Paterno giureconsulto ed ex prefetto del pretorio, accusato dal nuovo prefetto Perenne, quindi lo stesso Perenne con la moglie e i figli, poi il favorito Cleandro che aveva tenuto per qualche tempo il potere. Con maniaca esaltazione C. assunse il nome e gli attributi di divinità, specialmente di Ercole, e dette il titolo di Commodianus al Senato e a Roma. Pubblicamente si esibiva come atleta e cacciatore di fiere nell'anfiteatro. Ma una nuova congiura, ordita dalla sua concubina Marcia, dal maggiordomo Ecletto e dal prefetto del pretorio Emilio Leto, ebbe successo, e C. fu ucciso dal gladiatore Narcisso (192).Biblio.Enciclopedia Treccani
.Guerra civile romana (193 - 197)
Pertinace,(193) Publio Elvio (lat. P. Helvius Pertinax). - Imperatore romano (Alba Pompeia 126 - Roma 193); nato da umile famiglia, fu console (suffetto 175, ordinario 192), proconsole dell'Africa, dove batté i Mauri (190), e prefetto di Roma. Ucciso Commodo (192), il principale congiurato, il prefetto del pretorio Emilio Leto, riuscì a fare accettare dai pretoriani come imperatore P., che, essendo persona gradita al senato, poteva dare all'assassinio il carattere di restaurazione del principato senatorio. P. dimostrò infatti grande deferenza verso il senato. Ciò urtò tuttavia i pretoriani che, sentendosi decaduti dalla posizione di privilegio a cui Commodo li aveva elevati, lo assassinarono dopo tre mesi di governo. n Un figlio omonimo, nato nel 180, fu insignito del titolo di Cesare dal senato, ma non dal padre, quando questi fu eletto imperatore; console suffetto nel 212, fu fatto sopprimere nello stesso anno da Caracalla, che lo considerava fra gli amici di Geta.Biblio.Enciclopedia Treccani
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Guerra civile romana (193 - 197)
.Didio Giuliano(193), Marco (Imp. Caes. M. Didius Severus Iulianus Aug.). - Imperatore romano, nato nel 133 d. C. di ragguardevole famiglia oriunda della Gallia Cisalpina (incerta è la parentela col giureconsulto Salvio Giuliano). Console verso il 175, fu governatore della Dalmazia, della Germania inferiore, della Bitinia e Ponto, e proconsole d'Africa. Fu elevato alla dignità imperiale all'assassinio di Pertinace, in seguito all'offerta d'una cospicua somma di denaro ai turbolenti pretoriani (193). Non appena salito al potere, si trovò a lottare contro le insurrezioni di Pescennio Negro, proclamato imperatore dalle legioni di Gallia, e di Settimio Severo, a capo di quelle pannoniche e di Germania; quest'ultimo, che ben sapeva quanto D. G. fosse immediatamente divenuto impopolare in Roma, col suo appoggiarsi ai pretoriani e col far quasi temere un ritorno ai tempi dell'odiato Commodo, non tardò a comparire dinnanzi alla città quale vendicatore di Pertinace. D. G., che aveva tenuto una condotta paurosa e incerta, e aveva invano tentato combinazioni e spartizioni di potere col rivale, fu abbandonato da tutti e messo a morte dopo soli 66 giorni di regno (1° giugno 193).
Biblio.Enciclopedia Treccani
Dinastia dei Severi
Settìmio Sevèro (193-211) (lat. L. Septimius Severus Pertinax). - Imperatore romano (Leptis Magna 146 d. C. - Eboraco 211). Africano d'origine, e di famiglia appartenente all'ordine equestre, aveva percorso la carriera senatoria quale questore (170-71), legato proconsolare in Africa, tribuno della plebe (176), propretore in Spagna (178), governatore della Gallia Lugdunense (187) e della Sicilia (189), console suffetto (190), quando ebbe nel 191 il governo della provincia danubiana della Pannonia Superiore. Appunto le legioni di questa provincia, nel 193 a Carnuntum, sede del governo e del comando militare, lo proclamarono imperatore. L'Impero, con l'uccisione di Commodo (31 dic. 192), era caduto in una delle più gravi crisi, tra il tentativo di restaurazione, da parte del senato romano, della monarchia illuminata di tipo antonino e il fermento delle province che attraverso le legioni reclamavano una partecipazione sempre più preponderante alla direzione dello stato imperiale. E la forza delle legioni e delle province, tra una competizione e l'altra, ebbe la meglio appunto con l'affermazione di Settimio Severo. Era ormai infatti fallito il tentativo senatorio di restaurare l'equilibrio dell'Impero antonino con l'esperimento di Pertinace, proclamato dai pretoriani il 1º genn. del 193 e dagli stessi ucciso il 28 marzo successivo. I pretoriani proclamarono all'Impero ancora un senatore, Didio Giuliano, le legioni di Siria acclamarono Pescennio Nigro, quelle di Gallia e Britannia Clodio Albino e quelle di Pannonia (il 13 apr. del 193) Settimio Severo. Questi scese subito in Italia, mentre Didio Giuliano lo faceva dichiarare nemico del popolo di Roma; ottenne quindi l'adesione della flotta di Ravenna e marciò su Roma dove il senato stesso si decise a far decadere Didio Giuliano, il quale fu ucciso il 1º giugno dello stesso anno. Per sventare pericoli immediati, S. S. riconobbe allora il pronunciamento di Clodio Albino legittimandolo come Cesare. Primo atto di S. S. fu la sostituzione con elementi provinciali, soprattutto illirici, della vecchia guardia pretoriana fino allora composta prevalentemente da italici, e accanto ai pretoriani insediò in Italia sul Monte Albano una legione (II Partica) al comando di un suo legato di rango equestre. Con questi atti cessò definitivamente l'ultimo anello di congiunzione tra l'Italia e le forze vive che reggevano le sorti dell'Impero passate ormai definitivamente nelle mani dell'elemento provinciale come maturazione di un processo insito nello sviluppo stesso della forza politica ed espansionistica dello stato romano. Questo imperatore d'origine africana fu quindi il primo degli imperatori militari che avevano nelle province illiriche la grande riserva di soldati e nelle province orientali il patrimonio culturale. S. S. stesso aveva sposato in seconde nozze una siriana, Giulia Domna, figlia di un sacerdote romanizzato di Emesa. La forza militare illirica ebbe ragione anche delle legioni di Pescennio Nigro, sconfitto presso Isso nel 194 e, nel 197, a Lione, di quelle di Clodio Albino, col quale in un primo momento S. S. era venuto a patti. E come a conferma che questo processo era intrinseco all'evoluzione della tradizione imperiale, S. S. si autoadottò nella famiglia di Marco Aurelio. In realtà il governo dei Severi non è che la continuazione logica dell'Impero antonino, come quello in cui maturano quelle premesse "provinciali". Il nesso milizia-provincia trovò la sua formulazione nel riconoscimento giuridico delle relazioni coniugali dei legionarî nei varî castri fissi lungo i confini, nella concessione di terre ai soldati in servizio, e quindi nel rafforzamento del rapporto sociale ed economico tra essi e l'ambiente provinciale, nell'immissione dei figli di centurioni nella carriera senatoria, nell'espansione dei culti d'origine orientale e di forte tradizione militare (Mitra, Dolicheno e culto dell'imperatrice come mater castrorum), nell'incremento dell'intervento statale. Di questo spirito fa parte anche l'atteggiamento verso i cristiani, la cui espansione poneva in termini sempre più netti il problema del loro peso sociale e nel contempo della compattezza imperiale; se S. S. li favorì col riconoscimento dei collegia tenuiorum, si ricorda d'altra parte un suo divieto di conversione al cristianesimo e al giudaismo, con conseguenti atti di persecuzione specie in Egitto e in Africa. L'imperatrice Giulia Domna era al centro di un movimento intellettuale e religioso, espressione del sincretismo che rifletteva in campo culturale l'appiattimento e il conformismo politico e sociale, mentre i prodromi della suddivisione già s'intravedono nel progetto di assegnare ai due figli e successori, Caracalla e Geta, due capitali e due senati, Roma e Antiochia (o Alessandria). Il tentativo di S. S. di portare a fondo la lotta contro i Parti, a cui egli non perdonava l'appoggio dato a Pescennio Nigro e di cui conquistò (197 e 198) la capitale Ctesifonte, non ebbe conseguenze perché egli dovette rientrare e cercare di conservare buone relazioni diplomatiche. Unico risultato fu la costituzione della nuova provincia di Mesopotamia con capitale la colonia di Nisibi. Il riordinamento militare, d'altra parte, comportando anche aumento del soldo e quindi inflazione monetaria e aumento dei prezzi, era la causa dell'impoverimento progressivo dei ceti borghesi sotto la pressione tributaria. E intanto la moneta peggiorava (l'argento si riduceva nella lega al 25%), aumentavano i tributi in natura, con conseguente intervento repressivo delle milizie, bande di schiavi e di disertori infestavano l'Italia e le province. Era un circolo chiuso; l'affermazione delle province richiedeva l'intervento militare, e quindi l'incremento delle entrate imperiali (ratio privata) con le confische senatorie, e nel contempo veniva svigorita dai reclutamenti e dalla pressione fiscale la vita cittadina che aveva segnato l'espansione della civiltà borghese dall'Italia nelle province. Ormai solo un irrigidimento burocratico e militare poteva mantenere un'unità che minacciava di dissolversi. Le circostanze della morte di S. S., avvenuta nel 211 ad Eboraco (York) in Britannia mentre guidava una campagna di repressione contro i provinciali ribelli, testimoniano anch'esse questo cedimento lento ma progressivo del tessuto connettivo dello stato imperiale.Biblio.Enciclopedia Treccani
Prescennio Nigro (193-194)( Pescenníus Niger Iustus), . Di ceto equestre, fatto senatore dall'imperatore Commodo, nel 188 fu inviato in Gallia per opporsi ai ribelli capeggiati da Materno. Nel 190 rivestì il consolato e l'anno seguente ottenne il governatorato della Siria, dove, in seguito all'assassinio dell'imperatore Pertinace, fu acclamato imperatore dalle sue legioni; ma in Occidente il Senato riconobbe imperatore Settimio Severo, che sconfisse Pescennio Nigro a Isso. Pescennio Nigro, ritiratosi ad Antiochia, cercò di fuggire presso il re dei Parti, ma fu preso e ucciso
Clodio Albino (196-197),( Decímus Clodíus Albinus). succedette a Pertinace come governatore della Britannia e, dopo fortunate spedizioni in varie province dell'impero, si trovò a dover contendere con altri due imperatori, Pescennio Nigro e Settimio Severo, eletti dai rispettivi eserciti. Fu battuto e ucciso presso Lione nel 197 da Settimio Severo, che già aveva eliminato Pescennio Nigro.
Dinastia Severi
Caracalla ( 211-217),(soprannome di Bassianus, dopo l'adozione M. Aurelius [Severus] Antoninus, dal nome della veste gallica che usava). - Imperatore romano (Lione 186 - Carre 217), figlio di Settimio Severo e di Giulia Domna, fu associato nell'impero nel 198; sposò Plautilla, figlia del prefetto del pretorio Plauziano: questi fu fatto uccidere da C., timoroso della sua potenza, sotto l'accusa di cospirazione. Succeduto poi al padre nel 211 insieme col fratello Geta, l'anno seguente fece uccidere anche questo, spegnendo nel sangue i tumulti dei soldati e le proteste dei fautori di Geta, tra cui il giurista Papiniano. Per guadagnarsi la simpatia dell'esercito aumentò gli stipendî, e dovette di conseguenza inasprire le tasse, mentre la moneta si svalutava, sì che furono necessarie riforme monetarie. C. continuò l'opera di revisione del diritto. In Roma costruì le terme che ancora portano il suo nome. Cercò anche la gloria militare, sognando di essere un secondo Alessandro. Nel 213, nella Rezia, vinse gli Alemanni. Passò poi in Macedonia e in Oriente: fatto prigioniero, a tradimento, il re dell'Osroene, ne occupò il regno (216). Fu ucciso presso Carre dalla sua scorta per istigazione del prefetto delle guardie Opellio Macrino.Biblio.Enciclopedia Treccani
dinastia Severi
GETA,(209-211) Lucio o Publio Settimio (L. o P. Septimius Geta). - Imperatore romano. Era il secondogenito di Settimio Severo e Giulia Domna, nato nel 189. Quando il fratello M. Aurelio Antonino (Caracalla), fu nominato augusto, nel 198, G. gli succedette nel nome di Cesare. Tra i due fratelli esistevano acerbe rivalità (v. caracalla): furono uniti soltanto nell'avversione al prefetto del pretorio Plauziano. Il padre si adoperò in tutti i modi per metterli d'accordo: nel 205 e poi nel 208 ebbero entrambi il consolato. Nel 209 anche G. fu nominato augusto, come era già da un decennio il fratello, e divenne perciò anch'egli partecipe dell'impero. Quando il padre morì in Britannia, nel febbraio 211, lasciò i due figli imperatori in pari grado. Essi tornarono a Roma ugualmente diffidenti e sospettosi. Si divisero la casa imperiale del Palatino, chiudendone tutte le comunicazioni, e ciascuno si circondò d'una guardia propria. Il loro dissenso intralciava tutta l'amministrazione dello stato: cosicché, ad eliminare il dissidio, fu proposta una divisione dell'impero: Caracalla avrebbe preso l'Occidente, G. l'Oriente. Si oppose però la madre. Accettando i suggerimenti di Caracalla, essa si persuase a chiamare presso di sé a colloquio i due figli: e G. fu ucciso, avvinghiato alla madre, da centurioni fatti appostare da Caracalla (febbraio 212). G. era, al contrario del fratello, d'indole affabile e aperta e raccoglieva maggiori simpatie.Biblio.Enciclopedia Treccani
dinastia dei Severi
Macrino (217-218) (M. Opellius Macrinus). - Imperatore romano dall'11 aprile 217 all'8 giugno 218. Era nato a Cirta (Mauritania) nel 164 da umilissima famiglia. Sotto Settimio Severo aveva ricoperto cariche subalterne nell'amministrazione dello stato e successivamente divenne advocatus fisci (avvocato erariale). Caracalla lo prescelse come prefetto del pretorio, in sostituzione del celebre giureconsulto Papiniano (213). M. sentendosi insidiato anch'esso da Caracalla lo prevenne organizzando un complotto, in seguito al quale l'imperatore fu ucciso mentre si trovava a Carre in Mesopotamia durante la campagna contro i Parti. M. peraltro seppe dissimulare abilmente la sua partecipazione a questa congiura, e approfittando dello scompiglio riuscì a farsi proclamare imperatore dall'esercito che pure era molto devoto al sovrano ucciso. M. mandò subito una missiva al Senato, chiedendone il riconoscimento e annunziando che la salma di Caracalla sarebbe stata trasportata a Roma perché le fossero rese solenni esequie. Il Senato, che odiava Caracalla, non fece difficoltà a concedere a M. il titolo di Augusto e al figlio Diadumeniano, di soli nove anni, il titolo di Cesare, di erede designato e di princeps iuventutis. Per rafforzare la sua autorità M. fece donativi ai soldati e finse una postuma adozione per collegarsi alla dinastia dei Severi, dando a sé stesso il nome di Severo e al figlio quello di Antonino. Dovette poi continuare la guerra intrapresa da Caracalla contro Artabano re dei Parti: una battaglia impegnata a Nisibis ebbe esito incerto ma subito dopo fu conclusa la pace, mediante il pagamento di una indennità di guerra ai Parti per le devastazioni commesse da Caracalla. M. si recò poi sulla frontiera danubiana e sistemò la situazione in Dacia. Tornato ad Antiochia tentò d'introdurre economie nell'amministrazione dello stato, riducendo le paghe ai soldati e sopprimendo le spese superflue. Ma la sua politica provocò il malcontento dell'esercito; ne approfittò abilmente Giulia Mesa, cognata di Caracalla, che era stata confinata a Emesa in Siria per far proclamare imperatore Vario Bassiano detto Eliogabalo (v.) figlio della sua figlia Soemiade. M. tentò di resistere, ma, abbandonato dai soldati, fuggì travestito da Antiochia. Fu però raggiunto, e, fatto prigioniero, fu ucciso presso Archelais (Cappadocia), secondo altri presso Calcedonia. La stessa sorte subì il decenne Diadumeniano che il padre aveva da poco nominato Augusto al confine tra la Siria e la Mesopotamia (218). M. fu il primo imperatore che provenisse dall'ordine equestre; fu pure il primo che per l'intera durata del suo breve regno non si recasse a Roma né in Italia.Biblio.Enciclopedia Treccani
dinastia dei Severi
DIADUMENIANO (M. Opellius Antoninus Diadumenianus). - Imperatore romano, figlio di M. Opellio Macrino, nato nel 208 d. C. Quando Macrino fu nominato imperatore nell'aprile 217, ricevette il titolo di Cesare e il nome di Antonino. Dopo la rivolta del maggio 218, che elevò al trono Eliogabalo, Macrino fece nominare Augusto suo figlio. Inviato in seguito dal padre presso Artabano, re dei Parthi, per chiedere aiuti, fu scoperto durante il viaggio, fatto prigioniero e ucciso (218 d. C.).
dinastia Severi
Eliogàbalo( 218-222), (o Elagàbalo; lat. M. Aurelius Antoninus soprannominato Elagabălus o Heliogabălus). - Imperatore romano (Emesa 204 - Roma 222). Nato da Giulia Soemiade, figlia di Giulia Mesa cognata di Settimio Severo, fu sacerdote del dio Elagabal (donde il soprannome) a Emesa dove Macrino aveva relegato la sua famiglia. Fu fatto passare come figlio naturale di Caracalla, del quale prese il nome, e fu proclamato imperatore a soli 14 anni (218). Macrino si oppose, ma fu abbandonato dalle sue stesse truppe, sconfitto presso Antiochia dai rivoltosi, e poi ucciso. Anche il figlio di Macrino, Diadumeniano, fu tolto di mezzo, e alcuni tentativi di opposizione furono repressi. Nel 219 E. raggiunse Roma. Introdusse nella città il culto di Elagabal; a corte si circondò di orientali, avidi, raffinati e viziosi; il governo passò quasi interamente nelle mani di Giulia Mesa, la quale fece sì che E. associasse al trono Alessandro Severo, figlio dell'altra sua figlia Giulia Mamea. Diffusosi sempre più il malcontento per il malgoverno, E. fu ucciso dai pretoriani.Biblio.Enciclopedia Treccani
ultimo della dinastia dei Severi
Alessandro Sevèro(222-235) (lat. M. Aurelius Severus Alexander). - Imperatore romano dal 222 al 235 d. C. Nacque nel 208 in Arca Cesarea (Fenicia) da Gessio Marciano e da Giulia Mamea, venne a Roma quando il cugino Eliogabalo fu eletto imperatore, e quindi fu da lui adottato, nominato Cesare, e infine Augusto. Successogli assai giovane, subì nei primi anni l'influenza della nonna Giulia Mesa e della madre. Il governo di A. ha importanza per la restaurazione dell'autorità del senato, avvilita dal potere militare, e per le notevoli riforme introdotte in tutto l'ordinamento dello stato mettendo a profitto la giurisprudenza, in questo periodo illustrata da insigni rappresentanti (particolarmente Ulpiano). Mantenne, anzi rafforzò, il sincretismo religioso: collocò nel suo larario, tra le altre, una statua di Cristo e non perseguitò i cristiani. A. dovette anche fronteggiare, a prezzo di gravi perdite, un'invasione dei Persiani, che, guidati da Artaserse, avevano occupato la Mesopotamia (231-233); nel 234 accorse sul Reno per respingere un'invasione di Germani, ma le sue scontente milizie vennero a ribellione e lo uccisero con la madre.
Biblio.Enciclopedia Treccani
crisi del III secolo (235-284),anrchia militare
. Massimino (235-238)detto il Trace (lat. Iulius Verus Maximinus). - Imperatore romano dal 235 al 238 d. C. Nacque in Tracia da una famiglia umilissima; percorse una lunga carriera militare; dopo l'uccisione di Alessandro Severo (235), fu acclamato imperatore dalle truppe (si aprì così il periodo dell'anarchia militare). Continuò la spedizione iniziata dal predecessore contro gli Alamanni, infliggendo loro una gravissima sconfitta. Nel 236-237 sostenne numerose lotte contro Daci e Sarmati. Nel 238 il senato, a lui ostile, come ostile gli era gran parte dei cittadini stanchi del duro regime che estorceva con tutti i mezzi denaro per i bisogni militari, lo dichiarò nemico pubblico, approfittando della rivolta dei Gordiani in Africa e contrapponendogli poi Pupieno e Balbino. M. marciò contro l'Italia, ma invano assediò la fortezza di Aquileia. I soldati della II legione partica, stanchi anch'essi della dura disciplina e della scarsezza dei viveri, lo uccisero insieme col figlio Massimo (238). Da fonte cristiana apprendiamo che fu accanito persecutore dei cristiani. In base all'immagine sulle monete si possono riconoscere alcuni ritratti in marmo (Museo Capitolino; Ny Carlsberg, Copenaghen; Louvre), copie di un tipo creato intorno al 230.Biblio.Enciclopedia Treccani
crisi del III secolo (235-284),anrchia militare
Marco Antonio Gordiano( 238), Semproniano Romano Africano, meglio noto come Gordiano I (latino: Marcus Antonius Gordianus Sempronianus Romanus Africanus; Frigia, 159 circa – Cartagine, 12 aprile 238), è stato imperatore romano per poche settimane nel marzo/aprile del 238, assieme al figlio Gordiano II. (suicida)
Gordiano II (238),era figlio dell'omonimo Marco Antonio Gordiano, l' imperatore Gordiano I e di madre sconosciuta; è però possibile che Gordiano II fosse colui il quale Filostrato dedicò la sua Vita dei sofisti: in tal caso la madre sarebbe una nipote di Erode Attico. Aveva una sorella Antonia Gordiana, che era la madre di Gordiano III. (caduto in battaglia)
Pupieno (238) Marco Clodiol ( 235 al 238 d. C). Nacque in Tracia da una famiglia umilissima; percorse una lunga carriera militare; dopo l'uccisione di Alessandro Severo (235), fu acclamato imperatore dalle truppe (si aprì così il periodo dell'anarchia militare). (assassinato dai pretoriani)
Decimo Celio Calvino Balbino (latino: Decimus Caelius Calvinus Balbinus; 178 – Roma, 11 maggio 238) è stato un imperatore romano, in carica da febbraio a maggio del 238, assieme al collega Pupieno.( assassinato dai pretoriani )
GORDIANO III (238-244), (M. Antonius Gordianus). - Imperatore romano dal 238 al 244 d. C. Nacque a Roma il 20 dicembre, forse nel 224, da Giunio Balbo e da Mecia Faustina, figlia di Gordiano I. Nel 238, morti in Africa il nonno e lo zio, soldati e popolo di Roma, irritati contro il senato che aveva conferito l'impero a Pupieno e Balbino, e spinti dalla speranza di ottenere dal nipote quanto il nonno aveva loro promesso, imposero al senato che riconoscesse come Cesare il fanciullo (marzo o aprile). Durante la breve signoria di Pupieno e Balbino, G. continuò a essere lo strumento di cui si servì l'elemento militare nella lotta contro il senato, che cercava di consolidare il potere riconquistato; egli si vide perciò minacciato dall'odio dei due imperatori, che, divisi nel resto, si trovavano concordi nel desiderio di eliminare G. Quando Pupieno e Balbino furono uccisi dai pretoriani, soldati e popolo da una parte, senato dall'altra, vennero a un compromesso per il quale G. fu riconosciuto come imperatore (probabilmente il 9 luglio). Chi governasse per lui nel primo periodo del suo impero non sappiamo con sicurezza. Scarse le informazioni anche per quel che avveniva in questo tempo sulle frontiere.
Col 241 un importante cambiamento avviene nel governo dell'Impero, quando G. sposa Furia Sabinia Tranquillina, figlia di Timesiteo, e nomina il suocero prefetto del Pretorio. Uomo dotato di eccellenti qualità e ricco di esperienza acquistata durante una lunga carriera, Timesiteo divenne da allora il vero signore dell'Impero. Rivolse subito la sue cure principali alla frontiera d'Oriente, dove i Persiani, che avevano già conquistato la Mesopotamia romana, minacciavano, sotto la guida di Sapore I, il dominio di Roma nella Siria e s'impadronivano della stessa Antiochia. Nel 242 G. partiva, accompagnato dal suocero, vero duce dell'impresa, alla volta dell'Oriente. Giunto l'esercito nella Siria, s'iniziò nel 242 la guerra contro i Persiani. Antiochia fu liberata, i Persiani ricacciati nella Mesopotamia, Carre ripresa. A Resaina avvenne la battaglia decisiva, in cui Sapore fu pienamente sconfitto; anche Nisibi cadde di nuovo in potere dei Romani. Dopo una serie di provvedimenti presi per riorganizzare la Mesopotamia riconquistata, Timesiteo decise di marciare contro la capitale nemica, Ctesifonte. Ma, mentre a Roma si esultava per le vittorie, veniva a mancare, per un'improvvisa malattia, Timesiteo (fine del 243), la morte del quale non solo fu di danno gravissimo per le sorti della spedizione, ma cagionò anche la fine miseranda di G. Il nuovo prefetto del Pretorio, l'arabo Filippo, non contento, come il suo predecessore, del potere effettivo, mirava al trono e la sua ambizione urtò forse contro il tentativo fatto da G. di rendersi una buona volta indipendente da ogni tutela. Nel contrasto Filippo ebbe la meglio con l'eccitare i soldati contro l'imperatore, da lui presentato come responsabile del cattivo vettovagliamento. Invano G. scese di concessione in concessione fino a supplicare che gli lasciassero soltanto la vita. Fra Zaita e Dura, vicino all'Eufrate, a 20 miglia da Circesio, G. fu ucciso dai soldati (febbraio o marzo del 244 d. C.). Filippo volle poi coprire il delitto con gli onori che tributò e lasciò tributare alla memoria di G., che fu consacrato.Biblio.Enciclopedia Treccani
Filippo l’Arabo (244-249) – Filippo l’Arabo si trovava al seguito di Gordiano III nella campagna contro i Persiani. Concluse con essi una dolorosa pace e si recò a Roma, dove venne riconosciuto imperatore. L’avvenimento più importante del suo regno fu nel 248: l’imperatore festeggiò solennemente il millesimo anniversario della fondazione di Roma.(caduto in battaglia))
Marco Giulio Severo Filippo, anche noto come Filippo II (247-249) (latino: Marcus Iulius Severus Philippus; 238 – Roma, 249) fu imperatore romano assieme al padre Filippo l'Arabo dal 247 alla sua morte 249.
Dècio (249-251) (lat. C. Messius Quintus Traianus Decius). - Imperatore romano dal 249 al 251 d. C. Nacque presso Sirmio, in Pannonia, verso il 200; inviato dall'imperatore Filippo l'Arabo nella Mesia e nella Pannonia, vinse i Goti; eletto imperatore dall'esercito (249), vinse presso Verona Filippo, che morì in battaglia. Svolse un'intensa azione nel riordinamento dell'esercito e nella costruzione di potenti opere militari, e specialmente di strade. Nel cristianesimo vide il maggior ostacolo all'effettuazione del suo programma di restaurazione e promosse una persecuzione sistematica, stabilendo che l'azione contro i cristiani, prima lasciata all'iniziativa della denuncia privata, fosse assunta dallo stato: apposite commissioni controllavano che ogni cittadino compisse pubblico atto di culto alle divinità nazionali rilasciando un certificato; una delle prime vittime fu il papa Fabiano. D. ebbe coreggenti i figli Erennio e Ostiliano. Nel 251 avendo i Goti e i Carpi assediato in Nicopoli Treboniano Gallo, D. accorse prontamente e morì combattendo presso Abritto ai confini della Mesia (251).Biblio.Enciclopedia Treccani
Erennio Etrusco (251)(Quintus Herennius Etruscus Messius Traianus Decius). - Figlio di Decio ed Etruscilla, nacque tra il 220 e il 230. Creato Cesare, dal padre viene mandato nell'Illirico, console nel 251 è poco dopo dichiarato Augusto; viene ucciso nello stesso anno insieme a Decio in combattimento contro i barbari.
Treboniano Gallo,(251-253), Gaio Vibio (lat. C. Vibius Trebonianus Gallus). - Imperatore romano (251-253 d. C.); governatore della Mesia Inferiore, fu attaccato dai Goti (250), ma fu salvato dall'imperatore Decio, che forse morì per tradimento di T. G. nella battaglia finale di Abritto (251). Proclamato imperatore dai soldati, concluse una pace assai disonorevole con i Goti, costretto dalle condizioni molto precarie del proprio esercito e dalla necessità di proteggere Roma dalla minaccia costituita dal figlio di Decio, Ostiliano, con il quale si accordò accettandolo come collega nell'impero. In seguito fu eletto imperatore anche il figlio di T. G., Volusiano. La breve signoria di T. G. si segnala per l'ostilità verso i cristiani e per lo stretto accordo mantenuto col senato. Ne determinò la fine la ribellione di Emiliano, eletto imperatore dalle legioni della Mesia. T. G. e Volusiano, partiti contro di lui, furono uccisi dai proprî soldati a Terni (253).Biblio.Enciclopedia Treccani
Gaio Valente Ostiliano Messio Quinto (in latino: Gaius Valens Hostilianus Messius Quintus; 230 – novembre 251) è stato un imperatore romano nel 251, dopo la morte del padre Decio e del fratello Erennio Etrusco, associato al potere da Treboniano Gallo. (peste)
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Volusiano (251-253), (lat. C. Vibius Afinius Gallus Veldumnianus Volusianus). - Imperatore romano (m. 253 d. C.), figlio dell'imperatore Treboniano Gallo. Quando il padre fu eletto imperatore (251), fu nominato Cesare e poi Augusto; divise col padre il potere e fu con lui ucciso dai soldati.
Marco Emilio Emiliano (253) (in latino: Marcus Aemilius Aemilianus; Gerba, 207 circa – Spoleto, settembre 253) è stato un imperatore romano per soli tre mesi, nel 253; salito al trono rovesciando Treboniano Gallo, fu deposto a sua volta da Valeriano.(Assasinato dai sui soldati)
Valeriano(253-260)(lat. P. Licinius Valerianus) imperatore. - Imperatore romano (m. 260 d. C. circa). Acclamato Augusto (253) dall'esercito alla morte di Treboniano Gallo, la sua politica fu filosenatoria e mirata alla persecuzione dei cristiani (editti 257-258). Associato al potere il figlio Gallieno, cui affidò la difesa dei confini occid., V. si dedicò alla difesa dell'Oriente, ma fu catturato durante la guerra contro i Persiani di Sapore I (239-272), morendo in prigionia.VITA E ATTIVITÀScarse notizie restano del primo periodo della sua vita. Si sa che era di nobile origine; fu console (prima del 233); poi (252 ca.) in Rezia ebbe l'incarico da Treboniano Gallo di radunare milizie per combattere l'usurpatore Emiliano. Alla morte di Treboniano fu proclamato (253) imperatore dall'esercito, e subito fu riconosciuto dal senato. La sua politica interna ebbe carattere conservatore e mirò all'accordo col senato. Continuatore della politica religiosa di Decio, perseguitò i cristiani, promulgando (257) un primo editto con il quale impose a questi l'osservanza del culto statale e il veto di riunirsi in assemblee e di entrare nei cimiteri, che confiscò, insieme a tutti i loro beni. Con un secondo editto (258) stabilì la pena di morte per vescovi, preti, diaconi e anche senatori, cavalieri e alti funzionari che continuassero a professare la fede cristiana, pur perduta la loro dignità; le vittime più illustri furono s. Sisto II e s. Lorenzo a Roma, e in Africa s. Cipriano. All'esterno le condizioni dell'Impero erano gravi: nemici premevano da ogni parte. V. si associò nella difesa dell'Impero il figlio Gallieno, cui affidò la guerra in Occidente; si occupò prevalentemente di difendere le frontiere orient., minacciate dai Persiani di Sapore I, che avevano invaso la Siria; riportò vari successi e fu celebrato come Restitutor orientis. Allorché però Sapore I strinse d'assedio Edessa, V. lo affrontò con un esercito decimato da una pestilenza; fu fatto prigioniero (259) e morì durante la prigionia.Biblio.Enciclopedia Treccani
Gallièno (260-268) (lat. P. Licinius Egnatius Gallienus). - Imperatore romano (218 circa - 268 d. C.), figlio dell'imperatore Valeriano, regnò insieme col padre dal 253 al 260, esplicando un'attività esclusivamente militare. Liberò la Gallia dall'invasione degli Alamanni e forse anche da quella dei Franchi; batté nel 258 Ingenuo, usurpatore in Pannonia e in Mesia. Dopo la morte di Valeriano, rimasto solo nel governo dell'Impero mentre i barbari continuavano a premere da ogni parte, dimostrò un'energia inflessibile, e seppe prendere efficaci provvedimenti. Riorganizzò l, ed escluse i senatori dagli alti comandi; sospese la persecuzione contro i cristiani, pur cercando di combattere l'idea cristiana; promosse la diffusione dei misteri eleusini; protesse le arti e la cultura; represse la rivolta di Regaliano, usurpatore in Pannonia, sconfisse gli Alamanni presso Milano e fece sedare le rivolte in Oriente, in Egitto e in Africa dai suoi luogotenenti. Contro Postumo, in Gallia, avanzò vittoriosamente, accompagnato dai due generali Claudio e Aureolo; ma la guerra non poté essere portata a termine per l'atteggiamento malsicuro di Aureolo e così l'usurpatore Postumo formò un impero romano delle Gallie (comprendente anche la Britannia e la Spagna). In Oriente, G. concesse a Odenato, re di Palmira, i titoli di dux e corrector totius Orientis, considerandolo suo rappresentante e affidandogli il compito della guerra contro i Persiani. Alla morte di Odenato (266 o 267), G. respinse le pretese di autonomia di Zenobia e di Vaballato e mandò contro di essi un esercito, guidato da Eracliano, che fu però sconfitto. Mosse quindi contro Aureolo, che, passato dalla parte di Postumo, si era fatto proclamare Augusto: a Pons Aureoli (Pontirolo) lo sconfisse e quindi lo assediò a Milano; ma cadde vittima di una congiura ordita dai suoi generali fra i quali erano anche i futuri imperatori Claudio e Aureliano (268 d. C.).Biblio.Enciclopedia Treccani
Associato al trono
Publio Licinio Cornelio Valeriano (258) (lat. P. Licinius Cornelius Valerianus). - Figlio primogenito (m. 259 d. C. circa) di Gallieno e quindi nipote dell'imperatore Valeriano. Difese i confini del Reno, ma fu assediato e ucciso a Colonia dall'usurpatore Postumo.
Associato al trono
Publius Licinius Cornelius Valerianus Saloninus (260) fu cesare e poi augusto sotto gli imperatori Valeriano e Gallieno, rispettivamente suo nonno e suo padre. Salonino era figlio diGallieno, ma prese il nome dalla madre Cornelia Salonina. Nel 253, quando il padre e il nonno divennero imperatori, fu nominato cesare.
Postumo (269) fu riconosciuto imperatore in Gallia, Hispania, Germania e Britannia. Scelse come capitale Colonia, e vi insediò i propri senatori, consoli e guardia pretoriana. Si fece raffigurare come "riconquistatore della Gallia" in alcune delle sue monete, un titolo che si guadagnò avendo vittoriosamente difeso la sua provincia contro i Germani.
Imperatori illirici (268-284)
Clàudio II (268-270), imperatore, detto il Gotico (lat. M. Aurelius Claudius Augustus). - Nato in Dalmazia nel 219 d. C., fu imperatore romano dal 268 al 270. Affermatosi presto come valente ufficiale, ricevé importanti incarichi militari e fu poi valido collaboratore di Valeriano e Gallieno. Proclamato imperatore dagli ufficiali che avevano assassinato Gallieno, vinse presso il Garda gli Alemanni che calavano dal Brennero; mosse quindi contro una poderosa orda di Ostrogoti, Visigoti, Eruli, Gepidi che avanzavano nella penisola balcanica; liberò Tessalonica; vinse a Naisso i Goti (dei quali caddero circa 50.000). Pacificata la regione del Danubio, arginò validamente anche le secessioni della Gallia e dell'Oriente. Morî di peste a Sirmio.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imperatori illirici (268-284)
Quintillo, (270), ovvero Marco Aurelio Claudio Quintillo (latino: Marcus Aurelius Claudius Quintillus) nacque forse a Sirmio, nel 220 d.c. ed era il fratello di Claudio II il Gotico.
Quando il fratello morì, egli era probabilmente a capo di una colonna mobile, composta prevalentemente da cavalieri, a difesa dei confini. Venne eletto dal senato, speranzoso di riprendersi i poteri di un tempo, e proclamato imperatore ad Aquileia. Forte dell'appoggio del Senato e delle promesse fatte alle truppe, Quintillo iniziò a battere moneta per ripagare quanti lo avevano appoggiato.
Intanto Aureliano, valido comandante della cavalleria illirica, sostenuto dalle legioni pannoniche e gradito in generale all'intero esercito, era impegnato sul Danubio a controllare il ritiro dei Goti oltre frontiera. Udita la proclamazione di Quintillo le sue legioni di stanza a Sirmium, un importante castrum al confine danubiano della Dacia, lo proclamarono imperatore.
Quando la notizia della proclamazione di Aureliano raggiunse l'Italia, dinanzi alla superiorità dell'avversario, i soldati di Quintillo disertarono e il sovrano si suicidò dopo pochi mesi di regno, o comunque scomparve dalla circolazione.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imperatori illirici (268-284)
Aureliano (270-275), nacque a Sirmio, nell’odierna Serbia, nel 214 d.C., da una famiglia di modeste condizioni.Nel 271 e nel 272 Aureliano vinse, in Italia e sul Danubio, la popolazione germanica degli Iutungi. Nello stesso tempo, voltosi contro Palmira, detronizzò Zenobia e suo figlio e, nel 273, annientò definitivamente la città. In questo stesso anno sottomise Tetrico.Nel 274 respinse nuovamente i Germani sul Danubio, ma nel 275 dovette rinunciare alla Dacia, del tutto circondata dai Barbari.Aureliano represse gli intrighi del senato, che tentava di riacquistare l’antico prestigio nella vita dello Stato. Vegliò personalmente sull’esercizio della giustizia. Tra il 271 e il 273 fece circondare Roma da un’imponente cerchia muraria che porta il suo nome (Mura Aureliane), per difenderla dai Barbari.Attribuì alla propria persona carattere divino e si pose sotto la protezione del Sole, Sol invictus. Pretese di essere chiamato deus et dominus. Primo fra gli imperatori, apparve nelle cerimonie con un diadema e un abito ornato d’oro e di pietre preziose.Alla fine dell’estate del 275, mentre si apprestava a partire per una spedizione contro i Persiani, fu assassinato da uno dei sui segretari, per vendetta privata.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imperatori illirici (268-284)
Tàcito,(“75-276) Marco Claudio (lat. M. Claudius Tacitus). Originario di Terni, pretendeva, ma erroneamente, di discendere dallo storico Tacito. Senatore e console (273), dopo l'interregno di due mesi seguito alla morte di Aureliano, fu eletto imperatore dal senato su richiesta dell'esercito. Punì i responsabili della morte di Aureliano, riordinò la rete stradale, si rivolse contro gli Eruli e i Goti che saccheggiavano i territorî dell'Asia Minore; dopo averli battuti, affidò la continuazione dell'impresa al fratellastro M. Annio Floriano (v.), suo prefetto del pretorio. Morì sulla via del ritorno a Roma, forse assassinato dai suoi stessi soldati.Biblio.Enciclopedia Treccani
Imperatori illirici (268-284)
Floriano (276) Marco Annio (lat. M. Annius Florianus). - Imperatore romano nel 276 d. C. Prefetto del pretorio sotto l'imperatore Tacito, del quale sarebbe stato fratello, partecipò con questo alla guerra contro i Goti nell'Asia Minore e alla sua morte si fece proclamare imperatore. Le truppe di Siria e d'Egitto gli contrapposero Probo; fu ucciso dai soldati a Tarso.
Imperatori illirici (268-284)
Pròbo(276-282), (lat. M. Aurelius Probus). - Imperatore romano (Sirmio 232 d. C. - ivi 282). Proclamato imperatore (276) dalle truppe in Oriente, le sue instancabili ed efficaci azioni militari contro barbari e usurpatori. Dedicò inoltre notevoli cure anche agli affari interni dal punto di vista politico, economico e religioso. Morì ucciso dai suoi soldati.
VITA E ATTIVITÀFece rapida carriera nell'esercito; ricopriva un alto comando in Oriente quando nel 276 dalle sue legioni fu proclamato imperatore contro Floriano. Egli vendicò prima di tutto la morte degli imperatori Aureliano e Tacito; liberò l'Asia Minore dai Goti assumendo il titolo di Gothicus, passò in Gallia, dove erano penetrati i Germani, e li batté sul Reno e sul Danubio respingendoli oltre il Neckar. Combatté anche con fortuna contro i Burgundi e i Vandali che avevano invaso la Rezia, e prese il titolo di Germanicus maximus. Assicurato anche il confine danubiano, soffocò in Oriente la ribellione degli Isauri. Fece uccidere dai suoi luogotenenti l'usurpatore Giulio Saturnino e liberò l'Egitto dai Blemi. Stanziò entro i confini dell'Impero Bastarni, Gepidi, Grautungi e Vandali: questi stanziamenti furono una caratteristica del suo regno, ma ebbero talora insuccesso per la violazione dei patti da parte dei barbari. Eliminò poi due usurpatori sorti in Gallia e sul Reno, Proculo e Bonoso, e un altro ignoto usurpatore in Britannia; domò un'insurrezione in Spagna. Oltre a queste azioni militari, che lo pongono tra i più valorosi difensori dell'Impero, P. dedicò notevoli cure ai mali interni: seppe mantenere un giusto equilibrio tra la sua autorità e quella del senato, al quale fece concessioni di carattere amministrativo e giudiziario, pur mirando sempre al rafforzamento del potere imperiale; prese notevoli provvedimenti per la viticoltura nella Gallia, nella Spagna, nella Britannia, nella Pannonia e nella Mesia; riorganizzò il sistema d'irrigazione in Egitto, compì a Roma la cinta muraria iniziata da Aureliano. Nessun cambiamento introdusse nell'indirizzo instaurato da Gallieno, il cui editto, che bandiva dall'esercito i senatori, rimase in pieno vigore con tutti i suoi effetti sull'amministrazione delle provincie. Nell'insieme il governo di P. contribuì efficacemente a quel processo di trasformazione dell'impero che doveva sboccare nella riforma di Diocleziano, di cui P. fu un predecessore non solo nel tempo, tanto che si è supposto perfino che spettino proprio a lui alcune modifiche nell'ordinamento provinciale, dioclezianee, come la separazione dell'Isauria dalla Cilicia. .
Imperatori illirici (268-284)
Caro,(283-283) Marco Aurelio (lat. M. Aurelius Carus). - Imperatore romano negli anni 282-283. Prefetto del pretorio di Probo (276) gli si ribellò e, caduto Probo, fu riconosciuto imperatore. Nominati Cesari i figli Carino e Numeriano, ottenne successi in una campagna contro la Persia, durante la quale morì.
Carino, (283-285).Marco Aurelio (lat. M. Aurelius Carinus). - Imperatore romano dal 283 al 285 d. C. Figlio dell'imperatore Caro, a lui successo (assieme al fratello Numeriano) dopo esserne stato coreggente; combatté contro i Germani e i Britanni, e contro Diocleziano, che poco dopo la sua salita al trono era stato acclamato imperatore in Oriente. Dopo aver riportato successi fu assassinato a Viminacio. Fu dissoluto e tirannico.
Imperatori illirici (268-284)
Numeriano,(283-284), Marco Aurelio Numerio (lat. M. Aurelius Numerius Numerianus). - Imperatore romano (m. 284 d. C.); figlio dell'imperatore Caro, fu dal padre nominato Cesare insieme col fratello maggiore Carino. Mentre questi restava in Occidente, N. accompagnò il padre nella spedizione contro i Persiani e alla morte di lui (283) divenne Augusto. Interrotta la campagna persiana, mentre malato d'occhi tornava in Occidente, fu ucciso presso il Bosforo da Apro, prefetto del pretorio e suo suocero.
Diocleziano (284-305), Gaio Aurelio Valerio (lat. C. Aurelius Valerius Diocletianus). - Imperatore romano (forse Salona 243 circa - ivi 313) dal 284 al 305. Ebbe un altissimo senso dello Stato e lottò per difendere istituzioni e strutture sociali dell'impero romano ormai in crisi. Operò un'importante trasformazione politica e amministrativa dell'impero: instaurò il sistema tetrarchico, divise l'impero in 12 diocesi, riordinò i gradi dell'amministrazione e promosse una riforma finanziaria.
VITA E ATTIVITÀDopo una notevole carriera militare fu proclamato imperatore dagli ufficiali, a Nicomedia, allorché l'imperatore Numeriano fu ucciso dal suocero Arrio Apro (284). D. giustiziò Apro; fu quindi attaccato e vinto dall'imperatore Carino, il quale fu però ucciso dai suoi. Divise allora il comando con un suo fedele generale, Massimiano, nominandolo Cesare e poi Augusto (286). Mentre questi batteva gli Alamanni e gli Eruli e liberava dai pirati franchi e sassoni le coste della Britannia per mezzo di Carausio (che però successivamente usurpò il potere in Britannia), D. combatté con successo contro i Sarmati (289) e domò una ribellione in Siria e in Egitto (290). Volle quindi risolvere il problema della successione per impedire le usurpazioni: scelse due dei migliori generali, Costanzo (che fu da lui adottato) e Galerio (che fu adottato da Massimiano), e li creò Cesari. D. tenne l'Oriente, Massimiano l'Italia, la Rezia, la Spagna e l'Africa, Galerio l'Illirico, Costanzo la Gallia e la Britannia. Mentre Roma rimaneva la capitale morale dell'impero, D. stabilì la sua sede a Nicomedia, Massimiano a Milano, Galerio a Sirmio, Costanzo a Treviri, ma D. conservava l'autorità suprema, assicurando così l'unità dell'impero. Mentre Galerio e Massimiano combattevano con successo contro Goti, Sarmati e Carpi (294-95), D. domò una sommossa in Egitto e giustiziò l'usurpatore Achilleo (296). I Persiani invasero la Siria e vinsero Galerio presso Carre, ma furono in seguito da lui nettamente battuti (298) e riconobbero il dominio romano sulla Mesopotamia. Nel 297 la Britannia era riconquistata dall'esercito di Costanzo con la vittoria sull'usurpatore Alletto (succeduto a Carausio). Nel 298 Massimiano domò la ribellione dei Quinquegentani nella Mauretania. Nel 303 D. celebrò a Roma uno splendido trionfo. Di enorme importanza fu la trasformazione politica e amministrativa operata da D.: instaurò definitivamente l'assolutismo imperiale, sciolto da ogni controllo del senato, fu accentuato il carattere divino del sovrano a imitazione (anche per quel che riguarda il costume del diadema e del nimbo) delle monarchie orientali. Oltre all'instaurazione del sistema tetrarchico, procedette a una completa riforma della struttura dell'impero dividendolo in 12 diocesi, e queste in province, e riordinando i gradi dell'amministrazione: nelle province di confine fu diviso il potere civile da quello militare, che fu affidato a duci (duces). L'esercito fu aumentato di un terzo, arrivando a circa 450.000 soldati, e fu creato un esercito di manovra al seguito dell'imperatore; le linee di fortificazione furono rafforzate, la disciplina dei soldati rinsaldata. Per tentare di sanare la crisi economica, D. operò una riforma finanziaria introducendo un nuovo sistema di tassazione basato sul catasto, abolendo l'esenzione di cui godeva l'Italia, cercando di rivalutare la moneta e di stabilizzare il costo della vita con l'editto de pretiis, che stabiliva i prezzi di calmiere sia delle merci sia delle mercedi: questa politica antinflazionistica però fallì completamente. D. abbellì di edifici Treviri, Milano, Nicomedia, Roma (dove rimangono le grandiose terme), Antiochia, Cartagine, Sirmio, Tessalonica, Salona (a 5 km dalla quale era il grande palazzo che è all'origine di Spalato); fu attivo nel campo legislativo; favorì gli studî giuridici. Considerando il cristianesimo pericoloso per lo stato, lo combatté aspramente a partire dal 303 (editto di Nicomedia): la persecuzione infierì soprattutto in Oriente e fece innumerevoli martiri. Nel 305, D. depose la porpora, nominò successore Galerio, mentre Massimiano cedeva il trono a Costanzo, e si ritirò a Salona. Partecipò nel 308 al convegno con Massimiano e Galerio, in cui fu nominato imperatore Licinio, ma non si lasciò indurre a riprendere il potere.
Massimiano (286-310), (lat. M. Aurelius Valerius Maximianus). - Imperatore romano (n. tra il 240 e il 250 - m. 310) dal 286 al 305 e poi dal 307 al 308 d. C. Nacque da umile famiglia vicino a Sirmio in Pannonia. Militò con Diocleziano; fu da lui scelto nel 285 come collaboratore, e mandato in Gallia col titolo di Cesare, per reprimere la rivolta dei Bagaudi. Nel 286 fu nominato Augusto ed ebbe il soprannome di Erculio; gli furono affidate le province occidentali; pose la sua residenza a Treviri. Combatté nel 286-288 contro Burgundi, Alamanni, Franchi. Dopo la creazione della tetrarchia (293) affidò la Britannia (usurpata da Carausio e poi da Allecto) e la Gallia a Costanzo, e, fortificata la linea del Reno e del Danubio, passò in Africa e combatté con successo contro i Mauretani ribelli (297-98). Prese parte attiva alla persecuzione contro i cristiani. Nel 305, costretto a seguire l'esempio di Diocleziano, abdicò e si ritirò in Lucania. Nel 307 riebbe la porpora dal figlio Massenzio che aveva usurpato il titolo imperiale. Venuto a contesa col figlio, diede il titolo di Augusto a Costantino, che ne sposò la figlia Fausta, già da tempo promessagli. Nel 308 M. fu costretto da Diocleziano ad abdicare di nuovo. Nel 310, avendo tramato contro Costantino, fu arrestato presso Marsiglia e si diede la morte o fu ucciso.
Caràusio (286-293), (lat. M. Aurelius Carausius). - Usurpatore dell'Impero romano in Britannia dal 286 al 293. Di umile origine, incaricato da Massimiano di guidare una flotta contro i pirati franchi e sassoni, si fece riconoscere imperatore dalle legioni di Britannia e, nel 289, sconfisse le truppe di Massimiano. Fu poi da questo e da Diocleziano riconosciuto ufficialmente. Nel 293 fu assassinato da Allecto, probabilmente suo prefetto del pretorio
Costanzo I,(292-306) imperatore detto Cloro (dall'età bizantina) (lat. Flavius Constantius). - Imperatore romano (n. nell'Illirico, 250 circa - m. Eboraco 306); è il fondatore della dinastia dei secondi Flavî. Discendente da umile famiglia, verso il 289 d. C. divenne preside della Dalmazia e forse prefetto del pretorio di Massimiano; fu da lui adottato e nominato Cesare, insieme a Galerio (293), e gli fu affidata la Gallia e la Britannia. Vinse l'usurpatore Allecto e a più riprese i Franchi e gli Alamanni. Applicò l'editto di persecuzione contro i cristiani, emanato da Diocleziano, con molta moderazione. Nel 305 fu elevato alla dignità di Augusto. Morì l'anno successivo in Britannia. Da Flavia Massimiana Teodora, figliastra di Massimiano, ebbe: Dalmazio, Giulio Costanzo, Annibaliano, Costanza, Anastasia, Teodora. Costantino gli era nato da una precedente unione con Elena.
Galèrio(305-311), Massimiano (lat. C. Galerius Valerius Maximianus Augustus). - Imperatore romano (n. Serdica - m. Roma 311 d. C.). Segnalatosi in imprese militari, fu da Diocleziano e Massimiano nominato cesare (293) insieme a Costanzo, ed ebbe il governo delle province danubiane; sposò Valeria, figlia di Diocleziano. Poi (294-96) compì una serie di fortunate spedizioni contro i Sarmati, i Carpi, i Goti. Passato a difendere il confine orientale, dopo un primo insuccesso sconfisse i Persiani (297), imponendo loro gravose condizioni di pace; il grande arco eretto a Tessalonica ricorda il suo trionfo. Nel 299 combatté contro i Marcomanni e i Sarmati. Nel 305, in seguito all'abdicazione di Diocleziano e di Massimiano, G. e Costanzo divennero augusti, mentre Severo e Massimino erano nominati cesari. Alla morte di Costanzo (306) G. nominò augusto Severo, e cesare Costantino, che dalle truppe era stato salutato imperatore; intanto anche Massenzio fu acclamato imperatore e Massimiano riprese la porpora. G. convocò a Carnunto (308) Diocleziano e Massimiano: fu stabilito che i due augusti fossero G. e Licinio, e cesari Costantino e Massimiano; in effetti anche questi, oltre Massenzio, pretesero il potere imperiale. Prima che la situazione si risolvesse, G. morì. Uno dei suoi ultimi atti fu un editto di tolleranza (aprile 311) per i cristiani.
Sevèro, Flavio Valerio(306-307), (lat. Flavius Valerius Severus). - Imperatore romano (m. 307 d. C.). Illirico, di rozzi costumi, per il favore di Galerio fu nominato Cesare (305), poi (306) dopo la morte di Costanzo divenne Augusto. Per incarico di Galerio mosse contro Massenzio, ma fu tradito dal suo esercito e costretto a rifugiarsi a Ravenna. Si lasciò indurre da Massimiano a capitolare; fu condotto a Roma come prigioniero e poi fatto uccidere da Massenzio.
Massènzio (306-312), (lat. Marcus Aurelius Valerius Maxentius). - Imperatore romano (n. 278 circa - m. 312); figlio di Massimiano, all'abdicazione del padre (305) fu escluso dalla successione, ma dopo l'acclamazione di Costantino si fece proclamare Augusto dai pretoriani in Roma (306), nominò Cesare il figlio Romolo, e spinse il padre a riprendere l'autorità imperiale. Ma nel riordinamento dell'Impero del 308, M. fu messo da parte: egli volle resistere fuggendo in Gallia, ma perdette l'Africa, ribellatasi sotto la guida di Domizio Alessandro, e la Spagna, toltagli da Costantino. Divenne impopolare nella stessa Roma, cui pure cercava di restituire la dignità di capitale con grandiose costruzioni (come la basilica sulla Via Sacra) e dove svolgeva una politica benevola verso i cristiani; essendo Costantino nel 312 sceso vittoriosamente in Italia, M. lo affrontò presso il ponte Milvio ma fu vinto e trovò la morte nelle acque del Tevere.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Costantino I( 306-337), (lat. Flavius Valerius Constantinus) imperatore, detto il Grande. - Imperatore romano dal 306 al 337. Nacque probabilmente nel 280, da Costanzo Cloro e da Elena, a Naisso (Mesia); visse prima alla corte di Diocleziano, seguì poi il padre in Britannia e alla sua morte fu acclamato imperatore dall'esercito (306), ma non fu riconosciuto da Galerio. Vinse i Franchi e gli Alamanni, si alleò quindi con Massimiano e ne sposò la figlia Fausta, ma quando questi congiurò contro di lui lo fece uccidere (310). La morte di Galerio (311) portò allo sfacelo del sistema tetrarchico e all'alleanza tra Massimino e Massenzio contro C. e Licinio. C. dalla Gallia valicò le Alpi, vinse a Torino, conquistò Milano, Verona, e nella battaglia del ponte Milvio (28 ott. 312) vinse Massenzio che morì nel crollo di un ponte sul Tevere. C. fu riconosciuto Augusto dal senato, sciolse il corpo dei pretoriani, a Milano (313) emanò il decreto di tolleranza verso i cristiani. Morto Massimino, C. e Licinio furono i soli capi dell'Impero; essi vennero in lotta quando Bassiano, da C. nominato Cesare, gli si ribellò per istigazione di Licinio; C. condannò a morte il ribelle, vinse quindi Licinio a Cibale in Pannonia (314); una seconda battaglia al Campo Mardiense (tra Filippopoli e Adrianopoli) ebbe esito incerto. Nella pace che seguì, Licinio cedé la Mesia e la Pannonia; i figli di C., Crispo e l'omonimo C., e il figlio di Licinio, Liciniano, furono nominati Cesari. Nel 324 C. intervenne in Tracia, provincia di Licinio, per respingere una invasione di Goti: Licinio, considerando l'intervento violazione di territorio, dichiarò guerra a C., ma fu vinto ad Adrianopoli e a Crisopoli, e dovette arrendersi; poi, avendo stretto accordi con i barbari del Danubio, fu condannato a morte. C. dal 324 rimase unico imperatore. Subito dopo fece uccidere il figlio Crispo a Pola e poi la moglie Fausta a Costantinopoli, l'antica Bisanzio, cui diede il suo nome quando nel 326 vi trasportò la capitale, data la situazione strategico-economica dell'Impero; con tale decisione (dettata forse anche dal desiderio di rompere la tradizione pagana più viva in Roma) . Nel 332 i Goti furono vinti dal figlio C. II; a 300.000 Sarmati nel 334 fu concesso di stabilirsi nelle province del Danubio e in Italia. Nel 335 C. divise l'amministrazione dell'Impero tra i figli C. II, Costante, Costanzo, e i nipoti Delmazio e Annibaliano. Quando Sapore II di Persia pretese alcune province orientali, C. marciò contro di lui, ma durante il viaggio morì presso Nicomedia (337).. C. attuò inoltre una radicale riforma dei poteri dei prefetti del pretorio, privati ormai delle funzioni militari, per conservare invece quelle amministrative e giuridiche ed essere collocati al di sopra dei vicarî dell'organizzazione dioclezianea, nel quadro di una ripartizione dell'impero in quattro prefetture (delle Gallie, d'Oriente, d'Italia e Africa, dell'Illirico), ridottesi a tre dopo la morte di Costantino (con il decadimento dell'Illirico dalla condizione di prefettura). Il comando supremo dell'esercito era affidato all'imperatore, dal quale dipendevano direttamente il magister peditum (capo della fanteria) e il magister equitum (capo della cavalleria); le due cariche potevano cumularsi in quella del magister utriusque militiae. Con C. assumeva particolare importanza la presenza di una forza militare acquartierata vicino alla residenza dell'imperatore; si preparava così quella contrapposizione tra esercito comitatense ed esercito limitaneo, che sarà in atto dall'età di Valentiniano I e di Valente (mentre formalmente si distingueva ancora tra legiones e auxilia, questi ultimi preponderanti e sempre più esposti alla penetrazione di elementi germanici e sarmatici). L’importanza di C. è però legata soprattutto alla politica verso il cristianesimo al quale concesse pienezza di libertà e di diritti. Dapprima pagano, C. come primo atto di adesione al cristianesimo avrebbe fatto incidere sugli scudi dei soldati il monogramma di Cristo, destinato a ornare lo stendardo imperiale (labarum), seguendo un'ispirazione che avrebbe avuta in sogno, alla vigilia della battaglia del ponte Milvio (v. in hoc signo vinces), nel 313 con l'editto emanato a Milano (e firmato anche da Licinio) diede al cristianesimo riconoscimento ufficiale, poi confermato ed esteso da successive leggi, soprattutto nell'ultima parte del suo regno, dichiarandosi egli stesso cristiano (per quanto ricevesse il battesimo solo sul letto di morte). Molte statue gli furono erette a Roma, a Costantinopoli e altrove. ▭ In suo onore il senato decretò l'erezione di un arco di trionfo presso l'Anfiteatro Flavio. L'arco di C., tuttora esistente, il più ricco degli archi trionfali di Roma, ha tre fornici, ed è decorato, oltre che da rilievi presi da altri monumenti (traianei, adrianei e antoniniani), di fregi figurati celebranti la vittoria a ponte Milvio e le altre imprese dell'imperatore. Una statua equestre (perduta) gli fu eretta nel Foro, e un altro arco quadrifronte (cosiddetto Arco di Giano) nel Foro Boario. Altri edifici costantiniani in Roma furono le Terme sul Quirinale, le Terme Eleniane attigue al Palazzo Sessoriano, del quale restano alcune sale. L'improvviso fiorire dell'architettura cristiana, che seguì l'editto del 313, trovò valido appoggio da parte dell'imperatore. Numerosi furono gli edifici sacri - poi trasformati e ricostruiti nei secoli successivi - sorti per suo volere in tutto il territorio dell'Impero: a Costantinopoli (SS. Apostoli), nei luoghi santi della Palestina, ad Antiochia sull'Oronte, a Roma (basiliche di S. Pietro e di S. Giovanni in Laterano, mausoleo e basilica di Torpignattara, mausoleo e basilica maggiore di S. Costanza, ecc.).
Dinastia Costantiniana (306-363)
Licìnio (308-324), (lat. Valerius Licinianus Licinius). - Imperatore romano (250 circa - 325). Di umili origini fu nominato augusto nel 308 grazie all'amicizia con Galerio; per ottenere il dominio su tutta la parte orientale dell'impero combatté contro l'altro augusto Massimino Daia e si alleò (312) con Costantino, con il quale però, divenuto unico signore dell'Oriente, entrò successivamente in contrasto (314); dopo una tregua di qualche anno le ostilità ripresero (324), L. fu sconfitto e in seguito ucciso.
Nacque nella provincia della Nuova Dacia da una modesta famiglia di agricoltori. Entrò in amicizia con Galerio, partecipò alla guerra contro i Persiani e alla campagna contro Massenzio in Italia. Nel 308 fu nominato Augusto. L. fu il coaudiutore di Galerio nelle province orientali e alla morte di questo, accordatosi con Massimino Daia, governò la penisola balcanica. Poi, aspirando a tutto l'Oriente, si alleò con Costantino, di cui nel 313 sposò la sorella Costanza, contro Massimino. Frutto dell'accordo fu altresì la promulgazione a Milano (313) del celebre editto di tolleranza verso i cristiani. Sconfisse Massimino presso Adrianopoli, e, morto Massimino, fu a capo di tutto l'Oriente. Ben presto venne a conflitto con Costantino, e fu sconfitto a Cibale in Pannonia (8 ott. 314). Ritiratosi in Tracia, dichiarò decaduto l'imperatore Costantino e dette il titolo di Augusto a G. Aurelio Valente. Dopo la battaglia di Campo Mardiense dovette accordarsi nuovamente con Costantino e cedergli la Pannonia e la Macedonia, mentre Valente fu destituito e ucciso. A dare prova della restaurata unità dell'Impero, Costantino e L. furono eletti insieme consoli (315). Il figlio di L., Liciniano, ebbe, come i due figli di Costantino, Crispo e Costantino, il titolo di Cesare. L. esercitò contro i cristiani, specialmente dopo il 320, un'azione sempre più ostile. Nel 324 fu di nuovo in lotta con Costantino; sconfitto ad Adrianopoli (3 luglio) e a Crisopoli (18 sett.), fu costretto ad arrendersi e confinato a Tessalonica. Accordatosi poi con i Goti ai danni di Costantino, fu da questo fatto decapitare.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Massimino Daia (305-313), (lat. Galerius Valerius Maximinus Daia). - Imperatore romano dal 309 al 313 d. C. Nato nell'Illirico da una sorellastra dell'imperatore Galerio, fu da lui adottato. Nel 305 fu eletto Cesare e gli fu affidato il governo delle diocesi di Oriente e di Egitto. Nel 309 (o 310) si fece proclamare Augusto dai soldati. Morto Galerio (311), contese con Licinio per il dominio delle province orientali; dopo un temporaneo accordo, fu sconfitto da Licinio presso Adrianopoli (313); morì poco dopo a Tarso.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Costantino II (337-340), (lat. Flavius Claudius Constantinus) imperatore. - Figlio (Arelate, od. Arles, 317 - Aquileia 340) di Costantino I, a pochi giorni dalla nascita fu nominato cesare, ancora fanciullo fu insignito quattro volte del consolato. Nel 332 vinse i Goti sul Danubio e più tardi i Sarmati. Nel 337 nominato augusto, insieme ai fratelli Costanzo II e Costante I, volle esercitare un controllo sul dominio di quest'ultimo e nel 340 invase l'Italia, ma presso Aquileia, caduto in un'imboscata, fu ucciso dagli ufficiali del fratello.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Costanzo II(337-361), (lat. Flavius Iulius Constantius) imperatore. - Figlio (Sirmio 317 - Tarso 361) di Costantino: fu nominato Cesare nel 323 o nel 324, nel 337 imperatore insieme ai fratelli Costantino II e Costante I con il comando sulle province orientali. Combatté con scarso successo i Persiani, guidati da Shāhpūr II, da cui nel 348 fu battuto a Singara. Dopo l'uccisione di Costante (350; Costantino II era già stato ucciso nel 340), accorse in Occidente dove Magnenzio aveva usurpato il potere, mentre Vetranione era stato proclamato imperatore in Pannonia, e a Roma Nepoziano aveva assunto il potere imperiale. Vetranione ben presto depose il potere e Nepoziano fu ucciso; C. sconfisse Magnenzio a Mursa (Pannonia) e nel passaggio delle Alpi Cozie, costringendolo poi al suicidio (Lione, 353). Nel 354 fece giustiziare il cugino Gallo, che aveva nominato Cesare nel 351; nel 355 nominò Cesare il cugino Giuliano; batté in Pannonia i Sarmati e i Quadi, e si recò in Oriente dove i Persiani avevano riaperto le ostilità. Ma ne fu distolto dalla rivolta di Giuliano, proclamato Augusto dai soldati. Morì mentre marciava contro di lui. Con rigida intransigenza C. combatté il paganesimo proibendo i sacrifici e persino la venerazione delle immagini con una severissima legislazione. Con eguale intolleranza intervenne nella controversia ariana sostenendo gli ariani e combattendo Atanasio vescovo di Alessandria e il papato in quanto sostenitore di Atanasio: convocò di sua iniziativa due sinodi ad Arles (353) e a Milano (355), provocando l'esilio del papa Liberio e di molti vescovi, mentre Atanasio si salvò con la fuga. In punto di morte fu battezzato da un vescovo ariano.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Costante I (337-350), (lat. Flavius Iulius Constans) imperatore. - Figlio (Roma, 320 circa - Illiberis, Spagna, 350) di Costantino I; fu nominato Cesare nel 335, e nel 337, alla morte del padre, Augusto, insieme ai fratelli Costantino II e Costanzo II. Combatté con fortuna i Franchi (341-342) e assicurò per alcuni anni la pace alle province occidentali. Favorì i vescovi ortodossi contro gli ariani e cercò di reprimere il donatismo. Una congiura contro di lui acclamò imperatore Magnenzio; C., fuggito in Spagna, vi fu ucciso.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Magnènzio (350-353), (lat. Flavius Magnus Magnentius). - Usurpatore dell'Impero Romano d'Occidente (Amiens poco dopo il 300 - Lione 353 d. C.). Generale di stirpe germanica, fu al servizio di Costante; mentre questi veniva ucciso in una congiura, M. fu proclamato Augusto ad Autun (350). La sua autorità si estese su gran parte delle province occidentali. Sconfitto da Costanzo II a Mursa in Pannonia e a Monte Seleucio nelle Alpi Cozie, si uccise.
Dinastia Costantiniana (306-363)
Giuliano (361-363) (lat. Flavius Claudius Iulianus) l'Apostata. - Imperatore romano (Costantinopoli 331 d. C. - Maranga, presso Ctesifonte, Persia, 363), figlio di Giulio Costanzo e di Basilina. Scampato insieme al fratellastro Costanzo Gallo alle stragi di Costantinopoli del 337, di cui furono vittime il padre e la maggior parte dei parenti, G. fu educato a Nicomedia sotto la guida del vescovo Eusebio, e poi, insieme al fratellastro Gallo, nella villa imperiale di Macellum in Cappadocia, dove passò sei anni sotto una severissima vigilanza: studiò filosofia e retorica e fu educato alla fede cristiana. Ritornato alla corte di Costantinopoli, subì l'influenza di Libanio e specialmente di Massimo, un neoplatonico taumaturgo; si allontanò quindi dal cristianesimo, maturando una concezione religiosa ispirata all'antico politeismo e al misticismo neoplatonico. Dopo la condanna a morte di Gallo (354) visse alla corte di Costanzo II a Milano; concessogli poi di andare ad Atene, si dedicò alla filosofia, ebbe relazioni con i due futuri vescovi Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo, visitò templi e santuarî di misteri. Infine, richiamato da Costanzo II, preoccupato delle sorti dell'Occidente e forse anche sollecitato dall'imperatrice Eusebia, G. ebbe il titolo di Cesare, sposò la sorella dell'imperatore, Elena, e fu inviato nella Gallia, minacciata dai Franchi e dagli Alamanni. Nel 358 vinse gli Alamanni presso Strasburgo e provvide alla riorganizzazione della Gallia. Cominciò quindi a manifestare i suoi principî di restaurazione pagana e, forte dei suoi successi, si contrappose a Costanzo. Nel 360 a Parigi fu acclamato Augusto dai soldati e marciò verso l'Oriente. Mentre si preparava a resistergli, Costanzo morì (361). La politica religiosa di G., mirante alla restaurazione del paganesimo, iniziò con atti di neutralità e finì con l'intolleranza anticristiana. Si occupò inoltre della riorganizzazione finanziaria e burocratica. Spinto da mistica fiducia nel proprio successo e dal desiderio di emulare Alessandro e Traiano, mosse guerra contro i Persiani che minacciavano i confini orientali dell'Impero: conquistò alcune fortezze e costrinse il nemico a chiudersi in Ctesifonte, ma disperando dell'assedio di questa città, risalì il Tigri e in uno scontro, colpito da un giavellotto, morì. n Di G. rimangono 8 Discorsi, tra i quali vanno ricordati gli elogi di Costanzo II e di Eusebia, il messaggio agli Ateniesi scritto al tempo della ribellione contro Costanzo, le lodi al Sole e alla Madre degli dei, nei quali manifesta con entusiasmo le sue convinzioni religiose; due operette satiriche: i Cesari o i Saturnali (Καίσαρες, Κρόνια), e l'Odiatore della barba (Μισοπώγων), libello contro gli Antiocheni che si erano mostrati freddi verso il rinato paganesimo e avevano deriso G. per la sua barba filosofica; le Lettere, l'opera migliore per il calore e la sincerità di espressione, prezioso documento per la conoscenza dell'anima di G. e della società del suo tempo
Dinastia Costantiniana (306-363)
Gioviano (363-363)(lat. Flavius Iovianus). - Imperatore romano (Singiduno 331 circa - Dadastana, Bitinia, 364 d. C.). Alla morte di Giuliano fu acclamato imperatore dall'esercito (363). Concluse indecorosamente la guerra col re dei Persiani Sapore II, firmando un trattato con cui abbandonava i territorî intorno al Tigri e all'Eufrate. Abrogò le leggi filopagane di Giuliano.
Valentiniano I (lat. Flavius Valentinianus) imperatore. - Imperatore romano d'Occidente (Cibalae, Pannonia, 321 - Brigezio 375). Divenuto imperatore (364), si riservò la parte occid. dell'Impero con l'Illirico e l'Italia, e affidò al fratello Valente le province orientali. In politica interna cercò di migliorare l'economia dello Stato, mentre in politica estera si impegnò nella difesa dell'Impero contro i barbari, che ne minacciavano i confini. Morì durante uno di questi interventi di difesa contro Quadi, Sarmati e Iazigi.
Valènte (lat. Flavius Valens) imperatore. - Imperatore romano d'Oriente (Cibalae, Pannonia, 328 circa - Adrianopoli 378). Fratello di Valentiniano, venne da questi scelto (364) per assumere la guida della parte orient. dell'Impero. V. ebbe doti politiche e militari inferiori al fratello, ma fu leale ed equilibrato, specialmente nella politica interna. In politica estera combatté Goti, Alani e Unni, restando ucciso nella battaglia di Adrianopoli.
Graziano (lat. Flavius Gratianus) imperatore romano d'Occidente. - Figlio (Sirmio 359 - Lione 383 d. C.) di Valentiniano I, fu educato dal poeta Ausonio; nel 367 fu investito del titolo di Augusto dal padre, cui successe nel 375. Inaugurò il suo regno con atti di clemenza, limitò l'uso della tortura; cristiano convinto, fu ostile - soprattutto nell'ultima parte del suo regno - al paganesimo e all'arianesimo, rinunziò al titolo di pontefice massimo, volle che fosse tolta dalla Curia la statua della Vittoria. Nel 378 vinse gli Alemanni presso Colmar. Nel 379 mandò contro i Goti, che avevano vinto e ucciso l'imperatore Valente presso Adrianopoli, l'abile generale Teodosio, dopo avergli dato il titolo di Augusto. Nel 383 si accinse a combattere l'usurpatore Magno Massimo in Gallia, ma fu abbandonato dalle sue legioni e assassinato, a causa del malcontento che si era venuto a diffondere per il favore da lui accordato all'elemento barbarico.
Valentiniano III imperatore. - Imperatore romano d'Occidente (Ravenna 419 - Roma 455). Figlio di Costanzo III e Galla Placidia, nel 425 succedette a Onorio. Durante il suo regno il dilagare delle popolazioni barbariche raggiunse l'apice, sancendo il declino dell'Impero. Dopo che ebbe ucciso per invidia Ezio, l'ultimo grande generale romano, l'odio verso la viltà di V. armò la mano di alcuni congiurati, che lo uccisero.
Nato da Costanzo III e da Galla Placidia, sorella di Onorio, fu da questi designato alla successione nel 421. Fuggito a Costantinopoli con la madre per un contrasto sorto tra questa e l'imperatore, dopo la morte di Onorio ottenne la successione al trono imperiale. Fu nominato Cesare (424) e incoronato solennemente a Roma, dopo che l'effimera usurpazione di Giovanni fu abbattuta da Aspar e Ardabur, generali dell'imperatore Teodosio II (425). L'impero d'Occidente sotto V. giunse alla sua crisi definitiva: gran parte delle regioni di questo erano quasi in mano dei barbari e anche l'Africa settentr. fu perduta, conquistata in breve tempo dai Vandali. In Italia si acuirono le rivalità tra Ezio e Bonifacio, favorite dalla leggerezza della madre dell'imperatore. Ezio, vincitore del rivale, fu guida abile per il giovane imperatore e rinsaldò l'amicizia di Roma coi popoli stanziati entro i confini dell'Impero, rendendo in questo modo possibile sostenere l'impeto degli Unni; egli riportò infatti su Attila la grande vittoria dei Campi Catalaunici (451). L'inetto e debole imperatore si lasciò però influenzare dai nemici del grande generale: lo prese in odio, e un giorno lo colpì a morte con le proprie mani (454). L'atto inconsulto acuì l'odio che già V. aveva suscitato con la sua vita licenziosa; l'imperatore fu ucciso da congiurati sulla Via Prenestina. A V. si può riconoscere un certo impegno sul piano legislativo; con Teodosio II egli concordò la validità reciproca, in Occidente e in Oriente, delle norme del Codice Teodosiano, pubblicato nel 438.
Teodòsio ⟨-ʃ-⟩ (lat. Flavius Theodosius). - Padre (m. Cartagine 376) dell'imperatore Teodosio I. Apparteneva ad agiata famiglia spagnola; per incarico di Valentiniano I ristabilì il dominio romano in Britannia (368-39), combatté con successo contro i Sassoni, gli Alamanni, i Sarmati; passato in Africa, soffocò la ribellione di Firmo (373-75). Poco dopo, calunniato presso Valentiniano, fu giustiziato.
Màssimo, Magno (lat. Magnus Maximus). - Usurpatore dell'Impero Romano d'Occidente dal 383 al 388 d. C. Nacque da umilissima famiglia; avuto dall'imperatore Graziano il comando delle truppe operanti in Britannia, vi fu acclamato Augusto dai soldati (383); passato in Gallia, combatté con esito favorevole, mentre Graziano, datosi alla fuga, veniva ucciso. M. fu riconosciuto da Teodosio; ebbe la Britannia, la Gallia e la Spagna. Nel 385 fece mettere a morte, per motivi di religione, lo spagnolo Priscilliano e alcuni suoi seguaci. Nel 387, atteggiatosi a difensore dell'ortodossia cristiana, mosse contro Valentiniano II; Teodosio intervenne e sgominò l'esercito di M. a Siscia in Pannonia e a Petovio. M., arresosi ad Aquileia, fu trucidato dai soldati (388).
Arcàdio (lat. Flavius Arcadius). - Imperatore romano d'Oriente (377-408 d. C.). Figlio di Teodosio I, alla morte di questo (395) ereditò solo la parte orientale dell'Impero, mentre l'occidentale spettò al fratello Onorio. In un momento molto delicato per l'Impero, regnò assai debolmente, dominato dalla volontà della moglie Eudossia e dei suoi ministri, prima Rufino, quindi Eutropio. Durante il suo regno si ebbero incursioni degli Unni in Asia, dei Visigoti in Tracia e in Mesia, che determinarono anche il non desiderato intervento nel suo territorio dell'esercito di Stilicone, generale di Onorio.
Onòrio, Flavio (lat. Flavius Honorius). - Imperatore romano d'Occidente (n. 384 - m. Ravenna 423). O. ebbe il titolo di Augusto nel 393 e, a soli undici anni, divenne erede dell'Impero Romano di Occidente, che resse sotto la tutela di Stilicone. Nel 398 sposò la figlia di lui, Maria, e, dopo la morte di lei, la sorella Termanzia. Sotto il suo regno si verificarono l'invasione dei Visigoti e il sacco di Roma. Dovette trasportare la capitale a Milano e, dopo un effimero ritorno e un trionfo a Roma, la stabilì a Ravenna, dove morì nel 423.
iglio di Teodosio I e di Elia Flaccilla, proclamato nobilissimus puer ed elevato al consolato in età di due anni, divenne Augusto nel 393 ed ereditò nel 395 l'Impero d'Occidente, mentre quello d'Oriente andava al fratello Arcadio. Nel suo lungo regno si dimostrò troppo inferiore alla gravità dei tempi, debole e irresoluto. Il primo periodo del suo regno fu dominato dalla figura del generale vandalo Stilicone, del quale sposò consecutivamente due figlie, Maria (398-408) e Termanzia (da cui si separò nello stesso 408). Stilicone, desideroso di sottrarre al dominio di Arcadio l'Illirico, determinò un contrasto con l'Impero di Oriente, intervenne poi nella difesa dell'Oriente contro i Visigoti, domò (397) la rivolta di Gildone in Africa, sconfisse (402) a Pollenza i Visigoti di Alarico, che avevano invaso l'Italia settentrionale. Nel 404 O. celebrò a Roma il suo sesto consolato e il trionfo, in occasione del quale vietò le lotte dei gladiatori, continuando nell'atteggiamento ostile contro i pagani che aveva già assunto negli anni precedenti con la proibizione dei sacrifici e permettendo la distruzione dei loro templi. Nel 405 Stilicone sconfisse una nuova orda di Svevi, Alani e Vandali, guidati da Radagaiso, ma non poté impedire la loro penetrazione in Gallia, dove fu proclamato imperatore l'usurpatore Costantino III. Dopo la morte di Arcadio (408), si manifestarono tra O. e Stilicone i primi segni di quel disaccordo che, approfondito dalle gelosie dei cortigiani, terminò con l'uccisione di Stilicone a Ravenna e col massacro dei suoi partigiani a Pavia. Allontanato una prima volta da Roma col denaro, il visigoto Alarico, dopo aver proclamato imperatore e poi deposto il praefectus urbi Attalo, prese e saccheggiò Roma (410). A questa catastrofe seguì una certa ripresa, per merito del generale Costanzo con le vittorie su Costantino III (411) e su Eracliano che si era ribellato in Africa (413); Ataulfo, successore di Alarico, fu costretto ad abbandonare la Gallia e a ritirarsi in Spagna; e il nuovo re dei Visigoti Wallia combatté per incarico dell'imperatore i Vandali e gli Alani, ricevendo (418) come compenso l'Aquitania, dando così inizio all'era dei regni romano-barbarici. In quest'ultimo periodo grande ascendente esercitò su O. la sorella Galla Placidia, fino al 423 quando sorsero dei contrasti ed essa dovette fuggire in Oriente; ma nello stesso anno O. morì. Debole e irresoluto imperatore, benché animato da buone intenzioni e autore di leggi che contribuirono a facilitare il risollevamento economico dell'Italia e la rinascita di Roma dopo il sacco di Alarico, fu un sovrano troppo inferiore al padre in tempi anche più difficili, eppure continuatore della sua politica.
Costantino III (lat. Flavius Claudius Constantinus) imperatore. - Usurpatore (m. 411) del potere imperiale in Gallia. Oscuro soldato, eletto imperatore (407) dall'esercito di Britannia, estese la sua autorità sulla Gallia e poi sulla Spagna, dopo aver vinto ripetutamente i Vandali. Ottenne da Onorio il riconoscimento ufficiale, ma fu tradito da Geronzio in Spagna che elesse imperatore Massimo e uccise il figlio di C., Costante; Onorio gli mandò contro Costanzo (il futuro Costanzo III) e C., fatto prigioniero in Arles, fu ucciso.
Teodòsio II (lat. Flavius Theodosius iunior) imperatore d'Oriente. - Figlio (n. 401 - m. 450) di Arcadio, fu incoronato nel 402 e successe al padre nel 408. Lodato per la sua religiosità, T. promosse (15 febbr. 438) la pubblicazione del grande Codice teodosiano, raccolta delle costituzioni imperiali da Costantino in poi. Questa rappresenta il primo tentativo di una codificazione ufficiale delle fonti del diritto e, nello stesso tempo, la raccolta più cospicua di costituzioni pervenutaci fuori dalla compilazione giustinianea.La reggenza per lui fu tenuta prima dal prefetto Antemio, poi, alla morte di questo, dalla sorella Pulcheria, che nel 414 assunse il titolo di Augusta e mantenne poi sempre un'assoluta preminenza nel governo, anche dopo che T. divenne maggiorenne. T. non ebbe molta inclinazione per gli affari di stato, preferendo gli studi. La sua perizia nel copiare e alluminare codici gli valse l'epiteto di calligrafo. Gli si deve la fondazione/">fondazione della "scuola superiore cristiana" di Costantinopoli (425). Sua figlia Eudossia andò sposa a Valentiniano, erede dell'Impero d'Occidente. T. sostenne una breve e vittoriosa guerra contro i Persiani (421-422) e dovette affrontare l'invasione degli Unni (441), contenuta con trattative diplomatiche e cessione di territori al di qua del Danubio. Più gravi conseguenze ebbero le controversie religiose provocate dallo scisma monofisita. L'ultimo atto della sua vita fu la grave violenza da lui perpetrata sul concilio di Efeso (449), detta latrocinio di Efeso. A T. II si deve la nuova, grandiosa cinta di mura di Costantinopoli, costruita nel 413 e restaurata nel 447.
Costanzo III imperatore d'Occidente (lat. Flavius Constantius). - Imperatore romano (Naisso 370 circa - Ravenna 421); di famiglia ignota, iniziò la carriera militare con Teodosio; sotto Onorio, divenuto magister utriusque militiae, abbatté in Gallia gli usurpatori Costantino III e Giovino, e in Spagna Massimo; fece prigioniero Attalo Prisco. Sposò (417) Galla Placidia. Nel 419 concluse coi Goti un trattato per cui fu loro assegnata la residenza nell'Aquitania. Nominato l'8 febbr. del 421, da Onorio, Augusto e collega nell'Impero, morì pochi mesi dopo.
Giovanni imperatore d'Occidente. - Primicerio dei notari, fu eletto impeGratore dal senato (dic. 423) dopo la morte di Onorio; Teodosio II, imperatore d'Oriente, gli mosse guerra per difendere i diritti di Valentiniano III; una rivolta contro G. scoppiò ad Arles mentre il conte Bonifazio gli aveva tagliato i rifornimenti africani. G. si chiuse in Ravenna (genn. 425), ma vi poté resistere solo 4 mesi dopo i quali il comandante nemico, Aspare, penetrò nella città catturando G. che fu giustiziato.
Valentiniano III imperatore. - Imperatore romano d'Occidente (Ravenna 419 - Roma 455). Figlio di Costanzo III e Galla Placidia, nel 425 succedette a Onorio. Durante il suo regno il dilagare delle popolazioni barbariche raggiunse l'apice, sancendo il declino dell'Impero. Dopo che ebbe ucciso per invidia Ezio, l'ultimo grande generale romano, l'odio verso la viltà di V. armò la mano di alcuni congiurati, che lo uccisero. Nato da Costanzo III e da Galla Placidia, sorella di Onorio, fu da questi designato alla successione nel 421. Fuggito a Costantinopoli con la madre per un contrasto sorto tra questa e l'imperatore, dopo la morte di Onorio ottenne la successione al trono imperiale. Fu nominato Cesare (424) e incoronato solennemente a Roma, dopo che l'effimera usurpazione di Giovanni fu abbattuta da Aspar e Ardabur, generali dell'imperatore Teodosio II (425). L'impero d'Occidente sotto V. giunse alla sua crisi definitiva: gran parte delle regioni di questo erano quasi in mano dei barbari e anche l'Africa settentr. fu perduta, conquistata in breve tempo dai Vandali. In Italia si acuirono le rivalità tra Ezio e Bonifacio, favorite dalla leggerezza della madre dell'imperatore. Ezio, vincitore del rivale, fu guida abile per il giovane imperatore e rinsaldò l'amicizia di Roma coi popoli stanziati entro i confini dell'Impero, rendendo in questo modo possibile sostenere l'impeto degli Unni; egli riportò infatti su Attila la grande vittoria dei Campi Catalaunici (451). L'inetto e debole imperatore si lasciò però influenzare dai nemici del grande generale: lo prese in odio, e un giorno lo colpì a morte con le proprie mani (454). L'atto inconsulto acuì l'odio che già V. aveva suscitato con la sua vita licenziosa; l'imperatore fu ucciso da congiurati sulla Via Prenestina. A V. si può riconoscere un certo impegno sul piano legislativo; con Teodosio II egli concordò la validità reciproca, in Occidente e in Oriente, delle norme del Codice Teodosiano, pubblicato nel 438.
Marciano (lat. Marcianus) imperatore di Oriente. - Senatore (m. 457), sposò s. Pulcheria, reggente dell'impero, sorella di Teodosio II, al quale successe sul trono (450-57). Convocò il Concilio di Calcedonia d'accordo con papa Leone Magno, sostenendo la fazione avversa al monofisismo. M. mirò al mantenimento della pace e si oppose alla pretesa di Attila di imporgli un tributo come già a Teodosio II.
Màssimo, Petronio (lat. Petronius Maximus). - Imperatore romano (n. 396 - m. 455). Nato da nobile famiglia, ebbe parte nella caduta di Ezio e non fu forse estraneo all'assassinio di Valentiniano III, alla cui morte (455) fu subito riconosciuto imperatore. Forzò la vedova dell'imperatore, Eudossia, a sposarlo e dette in sposa a suo figlio Palladio la figlia di lei Eudocia. All'avvicinarsi dei Vandali di Genserico si dette alla fuga, ma, raggiunto dalla plebaglia, fu trucidato.
Avito (lat. M. Eparchius Avitus). - Imperatore romano d'Occidente negli anni 455-456. Nato da nobile famiglia gallica, accompagnò Ezio nelle sue campagne e fu prefetto del pretorio in Gallia. Dall'usurpatore Petronio Massimo fu creato magister militum: alla morte di questo, mentre Roma era occupata dai Vandali, fu proclamato imperatore ad Arles. Ricondotta la Pannonia sotto il dominio romano, venne a Roma dove fu riconosciuto collega di Marciano. Ma per influenza del comes Ricimero, che aveva acquistato grande autorità specialmente dopo le vittorie sui Vandali, il senato lo dichiarò decaduto. A Piacenza A. fu sconfitto e costretto a deporre le insegne imperiali; ebbe salva la vita e fu consacrato vescovo di Piacenza; ma, poco dopo, mentre tentava di fuggire segretamente, fu sorpreso e ucciso dai soldati di Ricimero e di Maggioriano.
Leóne I imperatore d'Oriente. - Successore (n. 411 circa - m. 474) di Marciano, fu elevato al trono (457) col favore del patrizio Flavio Ardabur Aspar (v. Ardabur). Nei rapporti con l'Occidente si ispirò al principio di mantenere l'unità formale dell'impero, assumendo alla morte di Libio Severo (465) la dignità imperiale anche per l'Occidente (lasciò il governo al patrizio Ricimero), benché elevasse poi (467) al trono di Roma il congiunto Antemio Procopio. Nel 468 tentò invano di cacciare i Vandali dall'Africa. Nel 473 associò al trono il nipote Leone II designandolo a suo successore, ma questi morì l'anno successivo, all'età di sei anni. n La figlia Ariadne sposò Zenone, da cui ebbe Leone II, e poi Anastasio I.
Maggioriano (lat. Iulius Valerius Maiorianus). - Imperatore romano d'Occidente (m. 461). Magister militum dell'imperatore Leone I, nel 457 fu acclamato imperatore d'Occidente dall'esercito a Ravenna e fu riconosciuto dal senato, ma non dall'imperatore Leone. Tentò di risollevare le condizioni dell'Occidente, respinse dalle coste dell'Italia Meridionale un'incursione di predoni Vandali e in Gallia difese Arles contro i Visigoti; ma fu poi battuto dai Vandali in Spagna (460). Tornato in Italia, fu fatto imprigionare da Ricimero e ucciso presso Tortona.
Sevèro, Libio (lat. Libius Severus). - Imperatore romano d'Occidente (m. Roma 465); creatura di Ricimero, che lo fece (461) imperatore a Ravenna; ebbe il riconoscimento della sua dignità dal senato, ma non dall'imperatore d'Oriente, Leone.
Antèmio Procòpio (lat. Procopius Anthemius). - Imperatore romano d'Occidente dal 467 al 472. Originario di Costantinopoli, combatté contro i Goti e gli Unni; divenuto imperatore per designazionė dell'imperatore d'Oriente, Leone, combatté senza successo i Vandali, quindi, venuto in lotta con Ricimero, fu sconfitto e ucciso. Il figlio omonimo fu nel 515 console per l'Oriente.
Olìbrio, Anicio (lat. Anicius Olybrius). - Imperatore romano di Occidente (m. 472 d. C.); patrizio di nobilissima famiglia, sposò Placidia, figlia di Valentiniano III; fu console (464); da Ricimero, che desiderava cattivarsi il favore della corte bizantina, fu nominato imperatore (472) al posto di Antemio, che fu ucciso; morì cinque mesi dopo.
Glicèrio ‹ġl-› (lat. Glycerius). - Imperatore d'Occidente dal 473 al 474 d. C. Osteggiato dall'imperatore d'Oriente Leone che gli mandò contro Giulio Nepote, fu fatto prigioniero a Porto. Fu quindi vescovo di Salona.
Giùlio Nepóte (lat. Iulius Nepos). - Imperatore romano d'Occidente (m. 480 d. C.). Aveva ereditato dallo zio, comes Marcellino, un comando militare in Dalmazia; sposò Verina, nipote dell'imperatore d'Oriente Leone I, il quale lo inviò in Italia contro l'imperatore Glicerio, da lui non riconosciuto. Proclamato imperatore (474), tentò di opporsi ai barbari; ma per l'insuccesso del patrizio Ecdicio fu costretto a riconoscere ai Visigoti il possesso dell'Alvernia. Oreste, capo delle milizie della Gallia, gli si ribellò, creando imperatore il proprio figlio Romolo Augustolo (475). Rifugiatosi in Dalmazia, G. conservò il titolo d'imperatore anche dopo la deposizione dell'Augustolo, finché fu ucciso presso Salona da due suoi seguaci.
ZENONE imperatore romano d'Oriente. - Nacque probabilmente intorno al 430, nell'Isauria, regione dell'Asia Minore. Entrato da giovane nella milizia, si elevò ai più alti gradi e nel 468, sposata Ariadne, figlia dell'imperatore Leone I, fu fatto patrizio e nominato comandante della guardia imperiale e dell'esercito di Oriente. La sua elevazione provocò un vivo risentimento in Aspar, capo delle milizie gotiche, che da qualche tempo dominava sulla corte orientale e al cui appoggio doveva in parte la corona Leone I. Nella lotta di predominio che allora si determinò tra Aspar e Z., questi, sostenuto da Leone e dal popolo di Costantinopoli, ebbe il sopravvento. Nel 471 Aspar fu ucciso e con lui cessò l'influenza germanica a Costantinopoli. Nel febbraio 474 morì Leone I dopo aver designato come suo successore il nipote Leone II, figlio di Ariadne e di Z. Questi però assunse la reggenza essendo il figlio ancora minorenne e quando questi morì, nel settembre dello stesso anno, rimase imperatore.
Il suo regno fu all'interno agitato da rivolte nelle quali si trovò sempre implicata la vedova di Leone I. Nel gennaio 476, approfittando di un conflitto scoppiato fra Z. e Verina, Basilisco, fratello di questa, riuscì a farsi riconoscere imperatore. Z. fu allora costretto ad abbandonare Costantinopoli. Durante questo suo interregno, in Italia Odoacre, vinto Oreste, s'impadronì del governo e depose Romolo Augustolo. Rientrato in Costantinopoli nell'estate del 477 e abbattuto il suo rivale, nulla fece Z. per ristabilire l'autorità imperiale in Occidente; ma non sembra che egli abbia mai riconosciuto il fatto compiuto con la concessione del titolo di patrizio a Odoacre. Pochi anni dopo la rivolta dì Basilisco, Z. dovette reprimere l'insurrezione di Marciano, figlio del già imperatore d'Occidente Antemio e marito della seconda figlia di Leone I e di Verina. Ma nel 484 Verina riuscì a guadagnare a sé il generale Illo e d'accordo con lui tentò di portare sul trono un nuovo pretendente: Leonzio. Il tentativo fallì. Durante questa lotta le relazioni fra Z. e Odoacre divennero ostili, sembra a causa del proposito attribuito a Odoacre di prendere le armi in favore di Illo. Per impedire questa eventualità Z., secondo quanto riferisce il cronista Giovanni Antiocheno, spinse contro di lui il popolo dei Rugi e, quando questi furono vinti, gli Ostrogoti, col re dei quali Teodorico conchiuse un accordo formale. Fu questo l'atto più importante nella politica estera del governo di Z. Nella politica interna il nome di Z. è legato alla promulgazione, avvenuta nel 482, dell'Henoticon, o Editto di Unione, il quale aveva per scopo di far cessare le discussioni intorno alla natura di Cristo fra ortodossi, monofisiti e nestoriani. Z. morì il 9 aprile 491.
Basilisco ‹-ʃi-›. - Ammiraglio dell'Impero d'Oriente (m. 484). Inviato con una grande flotta contro i Vandali dell'Africa, forse comprato dall'oro di Genserico, fu battuto (468). Perdonato e reintegrato nella carica, lottò contro Zenone proclamato imperatore (474) alla morte del figlio Leone II, nipote di Leone I, e lo costrinse ad abbandonare Costantinopoli (475). Rivestita la porpora, suscitò malcontento per il favore accordato ai monofisiti. Deposto nel 476 da Zenone vittorioso, fu ucciso in prigione
Romolo Augustolo ( Ottobre 475-settembre 476), era figlio di Oreste un Romano della Pannonia che, come segretario del re degli Unni Attila, era stato inviato in missione a Coatantinopli. Nel 474 Giulio Nepote lo nominò maestro dei sodati con rango di patrizio. Anziché elevare se stesso, decise di innalzore al trono di occidente il figlio Romolo . La sua posizione non venne riconosciuta nell’impero d’Oriente, dove Nepote continuò ad essere considerato imperatore d’Occidente, anche se Oreste governò l’Italia in nome del figlio.
Nel 476 le esigenze della truppa divennero insostenibili, e alcune truppe barbariche Eruli, Sciri e Turcilingi, chiesero delle terre che Oreste rifiutò. Questi popoli si rivolsero al capo barbaro Odoacre, lo elessero re il 23 agosto e il 28 agosto Oreste venne catturato e ucciso, dopodichè Odoacre occupò Ravenna, uccidendo anche Paolo, fratello di Oreste.
Naturalmente depose Romolo, ma essendo giovanissimo gli risparmiò la vita esiliandolo a Neapolis, nel Castellum Lucullanum, l'antica villa di Lucullo. Secondo alcune fonti gli concesse un congruo vitalizio di seimila solidi annui, permettendogli di vivere con i propri parenti. Per alcuni fu relegato in un'angusta cella di monastero per il resto della sua vita.
Il volto di Romolo Augustolo (anzi, il suo profilo) venne coniato a Roma, Milano, Ravenna e persino ad Arles, sulle monete romane, i solidi (dal quale deriva il termine soldi).
Anastàsio I imperatore d'Oriente. - Modesto funzionario di corte (Durazzo 431 - forse Costantinopoli 518), morto Zenone Isaurico (491), ne sposò la vedova Ariadne. Fu incoronato nonostante l'ostilità del patriarca Eufemio, che lo sospettava monofisita (ma A. s'impegnò a rispettare le decisioni del concilio di Calcedonia), e degli Isaurici, che lo costrinsero a lottare, nella loro regione dell'Asia Minore, per 5 anni (492 - 497). Fronteggiò poi le incursioni degli Slavi (dal 493), dei Bulgari (dal 499), per proteggersi dalle quali fece costruire (507) il famoso "lungo muro" di Costantinopoli, e dei Persiani, avanzatisi nella Mesopotamia (502), che costrinse alla pace (505). Sanzionò invece il dominio in Italia di Teodorico (493) e poi quello di Clodoveo, i quali riconobbero la sua alta sovranità. Riformò l'amministrazione finanziaria abolendo il chrysargyron (498 o 501) e, pur attuando sgravî, accumulò un tesoro cospicuo. Negli ultimi anni, favorendo i monofisiti, provocò sommosse popolari e la ribellione del generale Vitaliano, vinto nel 514 e sollevatosi ancora nel 518.
Giustino I (gr. ᾿Ιουστῖνος) imperatore d'Oriente. - Militare (n. 450 - m. 527); originario d'una famiglia di contadini illirici, divenne comandante in capo della guardia palatina (comes excubitorum) e, alla morte di Anastasio, riuscì a farsi proclamare imperatore (518). Contrariamente a quello che era stato l'atteggiamento dei suoi antecessori, perseguitò i monofisiti e riprese i rapporti con Roma, anche per influenza del nipote Giustiniano, da lui associato al trono nell'apr. del 527. Nell'agosto successivo G. moriva.
Giustiniano I (lat. Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus) imperatore d'Oriente. - Nipote (Tauresium, presso Skoplje, 482 - Costantinopoli 565) dell'imperatore Giustino I; di famiglia illirica romanizzata, il 1° apr. 527 fu adottato e associato al potere dallo zio e lo stesso giorno sposò Teodora, donna di infima condizione, ma di grande bellezza e intelligenza. Nell'agosto Giustino moriva e G. gli succedeva sul trono. Uomo dalla forte personalità ed energicamente coadiuvato dalla moglie, in politica interna ed estera si applicò ad attuare un programma di restaurazione imperiale. Il primo passo fu rappresentato dalla riforma amministrativa e fiscale, dalla pubblicazione delle Istituzioni, del Digesto e del Codice (v. giustinianeo: Legislazione giustinianea), che diedero un ordine alla legislazione e alla giurisprudenza romana, mentre nel tentativo di dare all'Impero unità religiosa non esitò a perseguitare i monofisiti e più tardi a venire ad aspro contrasto coi pontefici romani (Agapito, Vigilio, Pelagio), troppo restii ad accettare la sua politica di conciliazione a tutti i costi. Il complesso di riforme, colpendo abusi inveterati, suscitò una reazione violenta, specie da parte della fazione dei Verdi, monofisiti - l'altra degli Azzurri, ortodossa, era piuttosto protetta da G. - sicché l'11 genn. 532, all'ippodromo, scoppiò la rivolta di Nika (v.), nella quale G., sul punto di perdere il trono, fu salvato, oltre che dal fermo atteggiamento di Teodora, dalle milizie di Belisario. Consolidatosi all'interno, stretta una pace perpetua con Cosroe I di Persia (532), che in tal modo gli copriva le spalle, G. si applicò a restaurare l'autorità imperiale in Occidente. Belisario nel 533-34 abbatté il regno dei Vandali e ricondusse l'Africa settentr. entro i confini dell'Impero; subito dopo fu intrapresa la guerra contro i Goti, la cui prima fase si concluse nel 536 con la conquista di Ravenna. Ma l'aggravarsi della situazione in Oriente (invasione di Unni in Balcania, 540; ripresa delle ostilità contro la Persia) rese difficoltosa, per l'insufficienza di rifornimenti, la ripresa della lotta di Belisario contro i Goti che si erano riorganizzati sotto Totila (544). Fu Narsete che, invadendo l'Italia dalla Dalmazia, la riconquistò a Bisanzio (552). G. riconquistò poi (554) la regione sud-orientale della Spagna, ma in Oriente subì gravi rovesci per le continue incursioni nei Balcani di Bulgari, Slavi e Unni (che nel 558 si spinsero sino a Costantinopoli, devastandone i sobborghi) e per la rottura della pace con Cosroe, che portò a una rovinosa guerra durata cinque anni (540-45) e conclusasi poi con un armistizio che, più volte rinnovato, condusse alla pace del 562. Sicché in definitiva la politica di G., mentre riusciva in Oriente a mantenere le posizioni anteriori, riacquistava all'Impero, in Occidente, vaste regioni del Mediterraneo (Italia, Dalmazia, Africa settentr., parte della Spagna), che tornava così ad essere dominato, come un tempo da Roma, da Bisanzio. Nel complesso si può dire che G. e Teodora intervennero in ogni campo dando impulso a tutta la vita dell'Impero, sia pure a prezzo di una dura disciplina e di gravi sacrifici finanziarî imposti ai cittadini. Se la restaurazione in Occidente fu effimera e la pace religiosa, che G. fermamente aveva tentato di realizzare, non fu conseguita, esasperandosi anzi nel contrasto tra ortodossi e monofisiti le ragioni di divisione tra Oriente e Occidente, la legislazione e le insigni opere d'arte realizzate all'epoca sono da considerarsi fra quelle che più hanno influito sullo sviluppo della civiltà. Dante (Par. VI) fa celebrare da lui il volo dell'aquila romana, cioè l'unificazione politica del mondo affidata da Dio ai Romani: unificazione religiosa, e cioè per la salvezza universale, ma anche perché gli uomini potessero raggiungere, sotto la guida d'un unico giusto principe, la felicità terrena.